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Don Giussani (1922-2005)









Si prende in considerazione la vitae e il pensiero di Don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione.







Luigi Giovanni Giussani nasce il 15 ottobre 1922 a Desio, comune della Brianza a Nord di Milano. I genitori sono Beniamino, disegnatore e intagliatore, e Angelina Gelosa, operaia tessile. Lui socialista, lei cattolica, saranno fondamentali per la formazione umana e religiosa del giovane Giussani.







Per amico Leopardi

Entra in seminario a undici anni a Venegono e viene ordinato sacerdote il 26 maggio 1945 dal cardinale Ildefonso Schuster. Durante il liceo si appassiona allo studio della letteratura, in particolare all'opera di Giacomo Leopardi, perché la sua «problematica mi sembrava oscurare tutte le altre». Se ne appassiona talmente che impara a memoria tutte le sue poesie e per periodi interi studia soltanto lui, «...poi, a sedici anni scoprii una chiave di lettura della sua opera poetica che ha fatto di lui il compagno più suggestivo del mio itinerario religioso» (A. Savorana, Vita di don Giussani, p. 44).



L'intuizione nasce durante una lezione sul prologo del Vangelo di Giovanni (successivamente Giussani stesso chiamerà questo episodio il «bel giorno»), in cui sente il professore dire: «Il Verbo di Dio, ovvero ciò di cui tutto consiste, si è fatto carne. Perciò la bellezza s’è fatta carne, la bontà s’è fatta carne, la giustizia s’è fatta carne, l'amore, la vita, la verità s'è fatta carne: l'essere non sta in un iperuranio platonico, si è fatto carne, è uno tra noi».



In quel momento Giussani si ricorda dell'inno Alla sua donna del poeta di Recanati: «In quell'istante pensai come quella di Leopardi fosse, milleottocento anni dopo, una mendicanza di quell'avvenimento che era già accaduto, di cui san Giovanni dava l'annuncio: “Il Verbo si è fatto carne”» (cfr. L'avvenimento cristiano. Uomo Chiesa Mondo). Questa passione per la bellezza e l'attenzione per i gesti quotidiani sono due dei tratti della sua personalità che più colpiranno chi avrà l'occasione di incontrarlo di persona. Per lui infatti «se la bellezza è lo splendore del vero, allora il gusto, l’estetica, il gusto estetico, è la modalità con cui l’uomo percepisce il vero». (cfr. Certi di alcune grandi cose).







La fede e la vita

Questo impeto di vita, spiegherà il cardinale Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI, era frutto del suo rapporto personale con Cristo: «Una storia di amore che è tutta la sua vita [e che] era tuttavia lontana da ogni entusiasmo leggero, da ogni romanticismo vago». Dopo l'ordinazione sacerdotale, i superiori decidono che il giovane Giussani rimanga in seminario per continuare gli studi e iniziare l'insegnamento. Nel 1954 consegue il dottorato in Teologia con una tesi su Il senso cristiano dell'uomo secondo Reinhold Niebuhr (cfr. Teologia protestante americana).



In quegli anni, tuttavia, Giussani si rende conto che nell'apparente buona salute della vita del cattolicesimo italiano, con le chiese piene e milioni di voti dati alla Democrazia Cristiana, già si agita la crisi profonda: il divorzio tra fede e vita, la tradizione in contrasto con la mentalità presente, la morale ridotta a moralismo. Pur conoscendo dottrina e dogmi i giovani restavano profondamente "ignoranti" della Chiesa e se ne allontanavano. Per questo ottiene dai superiori di poter insegnare Religione in un liceo statale. A partire dal 1954 entra al Liceo classico Berchet di Milano, dove rimarrà fino al 1967.



Contenuto delle sue lezioni sono i temi che lo accompagneranno – in un approfondimento che non avrà mai fine – lungo tutto il suo itinerario umano e di educatore: il senso religioso e la ragionevolezza della fede, l'ipotesi e la realtà della Rivelazione, la pedagogia di Cristo nel rivelarsi, la natura della Chiesa come continuità della presenza di Cristo nella storia fino a oggi.



La sua presenza nella scuola dà un nuovo impeto a Gioventù Studentesca (il nome con cui Azione cattolica era presente nelle scuole superiori) e le dà il connotato di un vero e proprio Movimento. È l'inizio della storia di Comunione e Liberazione.







Il "PerCorso"

Dall'anno accademico 1964-1965 don Giussani insegna Introduzione alla teologia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, cattedra che manterrà fino al 1990. La sintesi organica di questo insegnamento verrà pubblicata tra il 1986 e 1992 nei tre volumi del “PerCorso”: Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. Il senso religioso diventerà un longseller, tradotto in 23 lingue e presentato ovunque nel mondo.



Nel 1968 Gioventù Studentesca viene investita dall'impeto della contestazione e molti dei membri aderiscono al Movimento studentesco, abbandonando l'esperienza cristiana. Nello stesso anno don Giussani pone le basi, attraverso una serie di incontri al Centro Culturale Péguy di Milano, per una ripresa dell'esperienza originale del Movimento. Il nome “Comunione e Liberazione” nasce l'anno successivo.







La crescita del Movimento

Dall'inizio degli anni Settanta si coinvolge direttamente con un gruppo di studenti dell'Università Cattolica. Sono anni di grande dinamicità e il Movimento si diffonde in tutti gli ambiti: la scuola, l'università, le parrocchie, le fabbriche, i luoghi di lavoro, spesso sfidando con successo ambienti culturalmente e politicamente ostili. Don Giussani non nasconde i rischi di questa tumultuosa crescita e sarà instancabile nel richiamare continuamente la "vera natura" di CL come esperienza di cammino nella fede, indicando senza sosta le "derive" in senso intellettualistico, organizzativo e politico. Un esercizio di paternità che si trova riflesso nelle équipe annuali degli studenti universitari (cfr. Dall'utopia alla presenza, e la successiva serie di volumi delle équipe)



Nel 1977 pubblica Il rischio educativo, nel quale mette a frutto le riflessioni sulla ventennale esperienza di educatore. Sarà uno dei suoi libri più letti e tradotti. L'elezione di Giovanni Paolo II, nel 1978, segna l'approfondirsi di un rapporto con Karol Wojtyła che era iniziato nel 1971 in Polonia. Per diverso tempo don Giussani farà visita al Papa con gruppi di giovani in Vaticano e a Castel Gandolfo.







"La mia vicenda è la vicenda di tanti che, volendo bene ai giovani, riescono, per grazia di Dio - in questo senso si può chiamare “carisma” - a comunicare loro certezze e affettività di cui altrimenti sembrerebbero incapaci"

Don Giussani








Il mondo come orizzonte

Con gli anni si sviluppano le intuizioni giovanili di Giussani che riguardano la missione e l'ecumenismo. Alcuni giessini erano partiti per il Brasile già nei primi anni Sessanta. Nel frattempo, anche attraverso l'amicizia con padre Romano Scalfi e l'opera di Russia Cristiana (l'associazione nata per far conoscere le ricchezze della tradizione dell'ortodossia russa), crescono i rapporti con l'Est Europa e il mondo ortodosso. In questi anni il Movimento si diffonde soprattutto in Europa, America Latina e Stati Uniti, anche in virtù del caldo invito ad «andare in tutto il mondo» arrivato da Giovanni Paolo II nel 1984.



Un viaggio in Giappone, nel 1987, apre la strada ad una profondissima amicizia tra don Giussani e il reverendo Shodo Habukawa, una delle prominenti figure del buddhismo "Shingon". Si sviluppa in modo del tutto particolare il rapporto con la comunità della Spagna, dove Giussani si reca periodicamente: in questa relazione di profondo affetto e sintonia egli vede il futuro del Movimento.







Stagione creativa

Con l'inizio degli anni Novanta si manifestano i primi segni della malattia che in modo sempre più grave lo accompagnerà per oltre un decennio, sino alla morte. Più d'uno ha rilevato il parallelismo tra la vita di don Giussani e quella di Giovanni Paolo II e di tutto ciò resta un sigillo struggente: l'immagine di quel loro incontro in piazza San Pietro il 30 maggio '98. Sono anche gli anni delle grandi meditazioni proposte al Movimento: Riconoscere Cristo, Il tempo e il tempio, È, se opera, espressioni di una eccezionale stagione creativa centrata sui temi dell'avvenimento cristiano e del mistero di Dio (cfr. Il tempo e il tempio). Si consolidano amicizia e consonanza con il cardinale Ratzinger, Prefetto della Dottrina della Fede, come il cardinale stesso non mancherà di rilevare.



È un periodo intensissimo, nonostante l'avanzare della malattia. Pubblica Si può vivere così? e Generare tracce nella storia del mondo, due testi fondamentali per comprendere la sua concezione del cristianesimo; avvia la collana "I libri dello spirito cristiano" e la collana di musica classica Spirto gentil, a Madrid dialoga con Jean Guitton e a Bassano del Grappa riceve il Premio internazionale della Cultura cattolica. Agli incontri del Movimento, come esercizi spirituali e assemblee, partecipa, con sempre minor frequenza, spesso inviando messaggi video.







Ultimi messaggi

Nella primavera del 2004 ottiene dal cardinale di Madrid Antonio Rouco Varela - al quale aveva inoltrato la richiesta - che don Julián Carrón si trasferisca a Milano per condividere con lui la guida del movimento di Comunione e Liberazione. È del nuovo millennio, tra il 2002 e il 2004, lo straordinario scambio epistolare con papa Wojtyła che si concluderà con una lettera in cui don Giussani scrive: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l'urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».



L'ultimo messaggio al Movimento è del 16 ottobre 2004, in occasione del pellegrinaggio a Loreto per i cinquant'anni di CL. Le parole iniziali sono: «Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza! Questa è la frase più importante per tutta la storia della Chiesa; in essa si esaurisce tutto il cristianesimo». Il 22 febbraio 2005, muore nella sua abitazione di Milano.



I funerali sono celebrati nel Duomo di Milano dall'allora cardinale e Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, come inviato personale di Giovanni Paolo II. È sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano. La sua tomba è meta di continui pellegrinaggi dall'Italia e dal mondo.



Al termine della messa celebrata nel Duomo di Milano nel settimo anniversario della morte di don Giussani, il 22 febbraio 2012 don Carrón comunica di avere inoltrato la richiesta di apertura della causa di beatificazione e di canonizzazione del sacerdote di Desio. L’istanza è stata accettata dall’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola.


Fonte:
CL Online
















Parlare al sangue che bolle.
Un don Giussani maestoso e tremendo





Questa intervista ha una maestà imperiosa. Dolcissima e tremenda. Di solito in qualsiasi lavoro giornalistico resta l’impronta, la mediazione più o meno letteraria e narcisistica di chi firma il colloquio. Mi è capitato di rileggerla per caso, ma il caso non esiste, è un altro nome della grazia, e giuro non è uscita da me, proprio non mi appartiene. Ma ritengo che questa intervista sia oggi il ritorno della stella. Come la cometa dopo un’orbita che l’aveva tolta dalla vista, essa è una luce benedetta. E chi non vede è cieco. Mi resta in mente la voce di don Giussani, quando disse «ribollire il sangue!». Ribolliva il suo sangue.
Per un po’ di memoria. Questa intervista non era programmata, niente registratore, appunti su un angolo di giornale. Ebbe tre momenti. Due-tre volte a Sanremo (mi aveva invitato dove risiedeva durante l’inverno, in una casetta a mezzacosta, e io seguivo da giornalista il festival di Sanremo) e poi a Gudo Gambaredo. Appunti sistemati con l’aiuto di Alberto Savorana che era presente, insieme a Gisella Corsico, a quegli incontri (li ringraziai nel libro che raccolse questa intervista, Un caffè in compagnia). Spedii dieci pagine a don Giussani, molto titubante, non volle toccare una parola. Sono ancora oggi colpito dalla forza estrema di un uomo sfinito, che vedeva il suo corpo disfarsi e il suo “io” sempre più una cosa sola con il Mistero e i suoi figli spirituali. Ricordo molto bene come don Giussani dopo il secondo colloquio dovette ritirarsi perché non riusciva più a parlare. Gisella venne da Alberto e da me e ci riferì qualcosa come: «Mi ha detto: “Ah, se avessi ancora le forze, come vorrei aiutarli giorno per giorno”». (Renato Farina)







La campagna, nel quieto borgo nella Bassa milanese, è bagnata e fumante di pioggia al sole del mezzodì. Ha parlato tutto il tempo dell’Essere, del Mistero, monsignor Luigi Giussani quest’oggi. «L’Essere esistente qui e ora, l’Essere-Carità». Ma non l’Essere dei filosofi: anche quello, senz’altro. Bensì l’Essere che sono le nostre facce. Un Mistero familiare. Don Gius (lo si chiama familiarmente così) gli ha dato un nome che non mi aspettavo. Non ha detto anzitutto Cristo, ma «Madonna», «la Madonna». Poi la frase profetica, detta con assoluta certezza: «Io credo che, se non ci sarà prima la fine del mondo, cristiani ed ebrei possano essere una sola cosa nel giro di 60-70 anni».



S’è smagrito, don Giussani, gli è impossibile la distrazione dall’essenziale, il suo parlare è un martellare sul pianoforte delle dita di Chopin: l’uomo, Dio, la libertà, l’amore, la bellezza. E i nomi delle persone. Basta così. Ha la certezza che ciascuno di noi abbia un compito – «anche tu che non credi a niente, amico!», lui ti direbbe – discreto ed essenziale: senza il nostro lavoro, le mani dell’Essere avrebbero meno presa sulle cose. «Non avverti che il tuo io si disfa quando non mendica l’Essere?», mi dice. «L’Essere ci vuole coinvolgere, prende tra le mani il nostro marasma, come la madre ascolta la voce del bambino e ci comunica se stesso». Senza questo, detto da un vecchio dagli occhi verdi come acque lucenti, vivere sarebbe molto meno che vivere. Ripete: «Senza Cristo le cose si sfarinerebbero, l’io sarebbe sperduto. Invece...». Il vino buono, il pane fragrante e gustato lentamente («Dopo la poesia e la musica, il gusto per la bellezza si esercita negli uomini sul cibo e sul vino», dice inaspettatamente). Provo qui a trascrivere gli appunti un po’ malfermi di un incontro personale che non aveva intenzione di essere un’intervista. Mi si scuserà il rincorrersi di maiuscole e di minuscole: non ci capisco nulla, ma anche con la “e” minuscola, l’essere è tutto, tu che leggi sei tutto. Torna spesso la parola carità. Se come il fumo dell’incenso rischia di indisporre qualcuno, pensi che somiglia all’amore, ne è il nome cristiano.



Don Luigi Giussani, quasi 80 anni, è la personalità religiosa italiana più nota al mondo, ben al di là dei confini di Comunione e Liberazione che ha fondato nel 1954. I suoi libri hanno avuto un successo strepitoso negli Stati Uniti d’America dove ormai Cl è diffusa in ogni città. È in pieno svolgimento il Meeting di Rimini dedicato a “Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza”.







Che cosa sta studiando e pensando, don Giussani?

Mi sto rendendo conto ogni giorno più vivamente che l’Essere è Mistero, mistero esistente. L’essere esistente! La situazione tragica dell’uomo è che non lo riconosce.







Ci accorgiamo di esistere. Ed è già tanto.

Se l’essere è Mistero non può essere riconosciuto se non è amato. Amato! L’amore che cos’è? Distaccarsi completamente da sé per entrare in un tu. Così esci da te stesso e ti lasci afferrare in un vortice da cui si incomincia a capire l’Essere. L’Essere-Mistero non potrebbe essere individuabile, non lo si potrebbe sorprendere e aderirvi se non si svelasse come Carità.







Mistero, come del resto la parola amore, sono diventate parole che si trovano sui giornali dei parrucchieri: poltiglie senza sapore ormai.

Lo so bene. Ma resta un istinto non ancora distrutto nelle persone per cui le parole riprendono spessore. Occorre per comunicare quello che ho detto un atteggiamento dell’animo che sorprenda tutti, la cui responsabilità riconduca di nuovo al vero punto dove tutto inizia.







Insomma, se ho letto bene nei suoi libri, l’esperienza: senza esperienza non si conosce e non si comunica.

E l’esperienza è esperienza dell’amore o non è. Del resto, l’Essere è Carità. Il Mistero che ci fa esistere, che ci circonda, che suscita le nostre domande e i nostri desideri, e che si propone da ogni parte, è Carità. Dio si sopporta per questo...







Molti peraltro non lo sopportano.

Non intendevo questo. Volevo proprio dire che Dio sopporta se stesso perché è Carità. Per questo l’Essere accetta se stesso, perché è Carità. Non porta dentro di sé la morte e la contesa: è Carità con se stesso e fuori di sé, verso tutto e tutti. Essendo Amore si accetta e si propone.







Mi permetta: questo è incredibile. Tutto il mondo è in fiamme. Lei lo sa, ha in mano il giornale, e dice: il Mistero ci circonda ed è Carità, che è poi il nome della Bibbia all’Amore (o mi sbaglio?).

Proprio così. E questo Mistero agli uomini tocca riconoscerlo e imitarlo. Questo è il punto drammatico del nostro tempo. Ed è quello che i talebani – i fondamentalisti islamici – non capiranno mai: l’identificazione tra la percezione dell’Essere e l’Amore. Questa è la diversità, ed è la grande partita che può decidere in un modo o nell’altro dell’avvenire.



Mi commuovo sapendo che in Kazakistan, a pochi chilometri dalla guerra in Afghanistan, ci sono presenze cristiane di miei amici che riconoscono questo Mistero-Carità. C’è attesa di questo più tra i poveri, a qualsiasi confessione aderiscano per tradizione o per scelta, che tra coloro che si sentono di aver compreso e misurato definitivamente il Mistero, siano cattolici o no.







Lei è duro con i capi della cristianità.

Il Papa è commovente nella netta percezione della tragedia odierna e nell’animo trepidante e indomito con cui indica il compito. Mi colpisce l’assoluta purità della sua presenza nel mondo. Basti averlo visto a Toronto, o in Messico, dinanzi alla Madonna di Guadalupe. La mia gioia è stata potergli comunicare, il giorno stesso della festa mondiale della gioventù, che 108 giovani di 22 nazioni si erano quel giorno promessi a Cristo nella verginità tra i Memores Domini (associazione di diritto pvontificio nata da Cl e presieduta da don Giussani, ndr).



Ma chi lo ascolta? Non l’ascoltano... Persino tra i vescovi e i preti. Gli stessi capi comunità non capiscono bene queste cose, nel senso di spezzare il loro conformismo così da aprire varchi verso il futuro: non attendono la pienezza. Non c’è attesa. Questo vale in Cl e fuori, nella Chiesa e fuori. La questione è semplice: ciò che c’è, il mistero che c’è, la realtà dell’Essere, si accetta solo in forza di un’esperienza in cui uno è diventato oggetto di Dio. Sei coinvolto in un vortice che accade ora, e che ha una storia, ma la storia riprende sempre hic et nunc, altrimenti non è storia, e non c’è storia. E da questo nasce una civiltà. Altrimenti si è spazzati via.







Invece questo hic et nunc, il qui ed ora, non è avvertito?

Si tramanda un discorso corretto e pulito, alcune regole su come essere cristiani e uomini. Ma senza amore, senza il riconoscimento del Mistero vivificante, il singolo si spegne e muore. La nostra speranza, la salvezza di Cristo non può essere qualcosa che abbiamo letto e sappiamo ripetere bene. Un discorso più o meno edificante o moralistico, ecco, a questo viene ridotto spesso l’annuncio.



Bisognerebbe ribollire... Invece il mondo lo si lascia naufragare senza pastore... Non si comprende questo: ciò che risulta utile davvero è quanto investe il popolo e per cui il popolo è esaltato. Cioè l’unità come visibile segno di questo Mistero-Carità. Questo Mistero ha investito ed investe hic et nunc (qui, ora!) un popolo che talvolta non ha neanche più i suoi capi che se ne accorgono... Altrimenti essi accorrerebbero irruenti a mostrare e dimostrare la salvezza di Cristo.







Non è solo dunque incapacità di comunicare?

Non c’è più la fede che diventa principio interpretativo delle cose. E anche fuori dalla comunità cristiana, non si percepisce più l’essenza del cammino religioso umano. Siamo all’assurdo che è autorizzato a parlare di Israele solo chi dia per scontato che questo popolo che resta eletto non possa più radunarsi con i cristiani. Ma è il popolo dell’attesa... Gli ebrei più avvertiti lo sanno: mi è giunto un messaggio dal rabbino di New York che definisce Comunione e Liberazione “il resto d’Israele”. Io credo che, se non ci sarà prima la fine del mondo, cristiani ed ebrei possano essere una sola cosa nel giro di 60-70 anni.







Questa è una cosa inaudita.

Proprio questo è il problema: è come se non si aspettasse più nulla. E qui intravedo il compito dei cristiani. Bisogna che percepiscano questo Mistero-Carità. Vorrei fossero consolati e animati dalla partecipazione della presenza del Papa nella storia di oggi: bisognerebbe semplicemente obbedire e ribollire, essere travolti da un vortice, invece... Non si è ancora comunicata l’esaltazione del singolo, la vittoria del Mistero, la gloria di Cristo di fronte a quello che accade. Ma questo avviene se c’è questa esperienza. Per questo voglio ricondurre tutti a questo riconoscimento: l’Essere è Mistero. Come si fa ad affermarlo? Poiché si riconosce che c’è! C’è! Il Mistero c’è. Come si fa a dire così? Si può imitare il Mistero, ecco. Imitare l’Amore nel governo di Sé, nella Sua dedizione. Trovare il modo di dirlo, far sì che queste cose per noi siano lo sconvolgimento e la pace del nostro io. Il punto in cui il Mistero si ricompone è la voce del bambino, il rapporto con la mamma, il rapporto con il Mistero che ci si comunica.







Dice una cosa sola...

Torno sempre lì, e a te pare che ripeta sempre la stessa cosa: ma è la realtà, è tutto. È drammatica la situazione dell’uomo di fronte all’Essere. Si accetta solo ciò di cui si è fatta esperienza. Ma se non è vissuta come esperienza d’amore si finisce per ancorarsi a una visione tragica, a comunicare la croce senza che questo sia vivificante. Si finisce per comunicare Cristo e ciò che da lui deriva con un discorso pulito, ma non santificante, perché senza un amore, senza essere presi da quel vortice che è il Mistero-Carità si è alla fine sterili.



Senza Cristo non c’è nulla di sicuro, saremmo nell’insicurezza assoluta. Invece con Lui il singolo è esaltato. Per questo voglio ricondurre tutto a questo: l’Essere è Mistero. Il Mistero c’è. Da parte nostra si può solo imitare il Mistero. Parlo dell’Essere come affermazione di una positività, della positività della vita: è carità.







Diceva il catechismo di fare le opere della carità.

Ma uno non si salva da solo, per i propositi che fa, perché è un Altro che salva lui e il mondo attraverso una cosa nuova fatta nascere nella storia. L’Essere! Tutto fuoriesce dal flusso dell’Essere!







Ci si dimentica però, ci si appoggia alla morale, e si tradisce pure quella.

Senza Cristo uno si sente disperso in se stesso, inedito, incapace di focalizzare la realtà, incapace anche solo di scorgere con nitore qualsiasi bellezza durevole. La capacità degli uomini di ingannarsi e di farsi ingannare è grande. È la fallacia dell’apparenza. E i cristiani spesso vi si crogiolano, essi si illudono di essere buoni perché hanno capito una volta e fanno riferimento come se si salvassero con il discorso e la coerenza.



Preferisco molti che cristiani non sono, perché sono consapevoli del male e della loro incapacità di seguire il bene che pure presentono. Per questo prediligo certi temperamenti che si agitano nel mondo e aspettano una pace che non viene, piuttosto che quei cattolici che si costruiscono un sistema per riposare nella loro supposta fede e supposta carità. In loro Cristo viene mummificato, ed in più credono di conoscerlo.







E intanto il mondo è in fiamme.

Una di queste mattine, guardando i giornali, pensavo a Bush di fronte a quei suoi ragazzi mandati in Afghanistan. Chissà come si sarà sentito alla notizia che ogni tanto gli giunge di caduti. Avrà pensato forse: «È colpa mia se sono morti, sono io che guido l’esercito. Ma devo agire così contro i talebani per salvare la nazione». Vorrei dirgli: non la salvi tu la nazione. La salva Colui, quella Realtà, quell’Essere, quel livello dell’Essere a cui tu, Bush, dici: ti riconosco e faccio quello che posso per salvare la nazione, così che questo Mistero-Carità possa essere riconosciuto. Questa è la differenza tra Bush, in quanto riconosce la sua appartenenza a una storia cristiana, e i talebani.







Don Gius, ha ottant’anni a ottobre, la salute non sempre l’ha sostenuta. Dev’essere una roba grossa quel mistero se dà il sorriso ai vecchi nella dissipazione del cristianesimo.

Dico quel che vedo, sono entusiasta di quel che sono. Dio ha fatto l’uomo, Cristo ha fatto l’uomo e la Chiesa come sviluppo di questo. Allora c’è da vivere come Cristo e da vivere la gioia pasquale. Dobbiamo ringraziare lo Spirito per quello che ci ha fatto conoscere: Cristo e la Sua storia, e per averci chiamato a vivere tutti gli aspetti della storia come parte della Sua storia.







Ma è difficile tutto questo...

C’è un modo di far diventare semplici queste cose: dire quello che si vede. Dio fatto uomo, Cristo, e la Chiesa sviluppo di questo. C’è un istinto che non è ancora distrutto negli uomini, c’è ancora la ragione, essa permette di non ritenere il male come ineluttabile, come se la storia fosse per forza destinata a veder prevalere la visione dei talebani o dei fondamentalisti. Non sono inesorabili le loro vittorie, perché con la ragione si può individuare che quel che affermano non è il Mistero, e non corrisponde all’attesa dell’uomo. C’è ancora questo istinto e non è stato distrutto. L’essere come caritas! Se ne hai fatto esperienza anche per un istante, da quel momento non puoi più trascurare questo punto di vista. Purché ci sia chi te lo rammenta con la sua compagnia.







Quale metodo pubblico per una ripresa della presa cristiana sulle cose? Ora c’è il Meeting, ad esempio...

La preoccupazione più grande per noi dev’essere questa: che con semplicità di parole l’esperienza del Mistero torni tra la folla, tra la gente-gente. Essere nel groviglio umano l’unico punto di intelligenza. Essere lì come chi dica a ciascuno, qualunque cosa stia facendo o dicendo o scrivendo: «Tu cosa c’entri con questo?». Occorre uno slancio generativo in cui convogliare amici e nemici, chiamarli ad incontri, persino riunioni dove però al centro non ci sia l’incontro o la riunione, ma l’uomo, armati di una consapevolezza di che cosa grande e unica sia il Mistero. Dio come Mistero di carità, è l’unica lettera che vorrei scrivere, a quelli di Cl, a tutti.







Qual è il sintomo della mancanza dell’esperienza cristiana?

La fede non opera più il salto culturale, non dice niente al sangue che bolle. Siamo gli unici – noi cristiani – che possiamo investire culturalmente nella folla, non parlo delle élites, ma proprio nella folla spersa, quella che accende la televisione, quella che va a scuola e trova professoresse cui non importa niente degli allievi. Qualcosa deve riaccadere, altrimenti... Nei dodici anni di seminario non si parlava che di questo, la fede che investe tutto: Carducci, Leopardi e Pascoli. Se uno ha fatto anche solo un poco esperienza del mistero di Cristo, la crescita personale sarà un processo nella carità, per cui non può non entusiasmarsi di Leopardi, di Dante, di Pascoli, di qualsiasi espressione dove ci sia l’uomo: perché non si può adorare una presenza – Dio! – senza che si soffra per un’assenza, che tu vuoi colmare, hai la febbre per questo.







(Mi rivela che passa buona parte del tempo a “leggere il breviario”). Che cosa ritrova nel breviario di questi tempi?

C’è un’esaltazione della Madonna, è la carnalità del cristianesimo. Essa esprime pienamente la pedagogia di Cristo nel rivelarsi. Si oppone anche oggi alla negazione di tutto, a quel nichilismo che caratterizza il mondo post-liberale, così indifeso dinanzi all’avanzata islamica. La Madonna è il Mistero.







Mistero, usa proprio tanto questa parola ed essa oggi è tradotta in immagini tenebrose e vagamente esoteriche.

Il Mistero non è la tenebra, ma ciò che ci è dato sperimentare dell’Essere. La Madonna toglie qualsiasi equivoco, nella sua semplicità e carnalità. Come fa il Mistero a rivelarsi come Mistero? La Madonna! Ella è il punto culminante della dialettica religiosa e filosofica. Se il Destino considera se stesso come Mistero, l’aspetto umano che ci fa dire che è misterioso diventa coscienza della Madonna. Perché il primo rilievo possibile all’uomo nel Mistero, il primo rilievo fisico e spirituale del fatto del Mistero è la Madonna. La caratteristica del Mistero è che è comprensibile tra i poveri ignoranti.



Così l’opera dello Spirito, Creatore dell’universo, è la Madonna. Non lo dico per devozionalismo, ma perché è oggettivamente così. Lo Spirito si rende sperimentabile come Carità nella Madonna. Vorrei fare un articolo sulla Madonna, qualunque cosa che Ella tocca diventa umana e insieme la colloca nel Mistero. Che la Madonna sia il primo segno di questa Presenza di Dio dà scandalo. Ma vsoltanto chi capisce questo può interessarsi davvero del divino. Scoprire come nella Beata Vergine si sia incarnato Dio, fa sì che tutto diventi parte di questa scoperta: la prima pagina del giornale, il numero dei capelli di chi ami.







Le persone che passano per più intelligenti, proprio qui trovano uno scoglio e non capiscono. Dicono: residuo pagano. In buona fede non accettano.

Invece lo capiscono le loro madri! Ma loro si rifiutano di accettare la pienezza di quel che scrisse Dante, «Vergine madre, figlia del tuo figlio». C’è la libertà, capisci? E questo mi fa scoppiare di contentezza. Non mi spaventa il mio limite, è la dimostrazione più fantastica dell’esistenza di Dio, che si palesa in negativo, come mia mancanza.







Cosa c’entra il Mistero-Carità con la crudeltà della Natura? Per molti è obiezione drammatica e getta un’ombra su Dio...

Quando tua madre ti ha preso in braccio, ha detto il tuo nome, lì si palesa il Mistero. Come puoi essere tu a dargli la misura, a giudicarlo? Era la scelta che si pose per Abramo dinanzi a Isacco. Dentro il Mistero anche l’acciuga mangiata dal tonno trova la sua redenzione. Chi ha sperimentato l’abbraccio di Cristo lo sa. Chi no, non chiuda la porta, chieda che Dio riveli il suo volto.



È ora di andare. Mi guarda e mi dice: «A voi giornalisti chiedo la consapevolezza di essere alla radice della conversione del mondo. Provate ad essere i portentosi provocatori della vita comune degli uomini». Ha tra le mani un’immagine di Raffaello, vi si raffigura un san Paolo pensoso: «Se non si entra al livello di Raffaello, se non si scorgono i volti come Raffaello, non c’è esperienza del Mistero. Ringraziamo lo Spirito, cioè la Sorgente dell’essere per ciò che ci ha fatto conoscere, cioè Cristo e la sua storia, e di vivere gli aspetti anche minuti della nostra storia come parte della Storia». Fischietta “La donna è mobile”. Fuori c’è un bellissimo sole, le chiome dei tigli sono tese dal vento, “il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza”, non è vero?


Fonte:
Tempi













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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