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Educare alla Temperanza e alla Sobrietà







“Abbiate il coraggio di educare all’austerità – diceva san Josemaría a un gruppo di famiglie -; altrimenti, non otterrete niente”. Su questa virtù ecco un testo della serie dedicata alla famiglia.











Nell’attività educativa, quando i genitori si oppongono ad alcune scelte, i figli manifestano contrarietà e domandano perché non possano seguire la moda o perché debbano per forza mangiare qualcosa che a loro non piace, oppure perché non possano passare ore a navigare in internet o a giocare al computer. La risposta più semplice è spesso di questo tipo: “perché non ci possiamo permettere questa spesa”, “perché devi finire i compiti” o, nel migliore dei casi, “perché finirai per diventare capriccioso”.


Sono risposte in qualche misura valide, almeno per uscire da una momentanea impasse, ma che celano involontariamente la bellezza della virtù della temperanza, facendola apparire agli occhi dei figli come un insieme di divieti a fare ciò che a loro piace.


Viceversa, come qualunque virtù, la temperanza è essenzialmente affermativa. Essa rende la persona capace di essere padrona di se stessa, mette ordine nella sensibilità e nell’affettività, nei gusti e nei desideri, nelle tendenze più intime dell’io: in definitiva, ci rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni materiali e ci aiuta ad aspirare a un bene superiore[1]. Proprio per questo, secondo san Tommaso, la temperanza va collocata alla radice della vita sensibile e spirituale[2]. Non per niente, nella lettura attenta delle beatitudini, si nota facilmente che quasi tutte hanno un legame con questa virtù. Senza di essa non si può vedere Dio, né essere consolati, né ereditare la terra e il cielo, né sopportare con pazienza l’ingiustizia[3]: la temperanza indirizza le energie umane a mettere in moto tutte le virtù.








Padronanza di sé




Il cristianesimo non si limita a dire che il piacere è una cosa “permessa”. Lo considera, piuttosto, una cosa positiva e buona, perché Dio stesso lo ha introdotto nella natura delle cose, come risultato del soddisfacimento di certe tendenze. Ciò peraltro è compatibile con la coscienza dell’esistenza del peccato originale e del conseguente disordine delle passioni. Tutti comprendiamo perfettamente perché san Paolo dica compio [...] il male che non voglio[4]; è come se il male e il peccato siano stati impiantati nel cuore umano che, dopo la caduta originaria, si trova nella situazione di doversi difendere da se stesso. Ed ecco la funzione della temperanza, che protegge e orienta l’ordine interiore delle persone.


Uno dei primi punti di Cammino può servire a capire il posto che ha la temperanza nella vita delle persone: Abituati a dire di no[5]. San Josemaría spiegava al suo confessore il significato di questo punto, affermando che è più semplice dire di sì: all’ambizione, ai sensi...[6]. In una circostanza affermò che quando diciamo di sì non ci sono problemi; quando, invece, dobbiamo dire di no, nasce la lotta, e certe volte non riusciamo ad averla vinta, ma usciamo perdenti. Dunque, ci dobbiamo abituare a dire di no per uscire vittoriosi in questa lotta, perché da questa lotta interiore proviene la pace per il nostro cuore, la pace che portiamo alle nostre famiglie – ognuno alla sua – e la pace che portiamo alla società e al mondo intero[7].


A volte, saper dire di no, comporta una vittoria interiore che è sorgente di pace. Vuol dire rifiutare tutto ciò che allontana da Dio – le ambizioni dell’io, le passioni disordinate -; è la via irrinunciabile per affermare la propria libertà, è un modo di stare nel mondo e di fronte al mondo.


Quando qualcuno dice di sì a tutti e a tutto ciò che gli viene proposto o che desidera, cade nell’anonimato, in qualche modo si spersonalizza; è come un pupazzo mosso dalla volontà altrui. Forse abbiamo conosciuto qualche persona siffatta, incapace di dire di no alle suggestioni dell’ambiente sociale o ai desideri di chi gli sta accanto. Sono persone adulatrici, nelle quali l’apparente desiderio di servire rivela mancanza di carattere o anche ipocrisia; sono incapaci di complicarsi la vita dicendo “no!”.


Chi dice di sì a tutto, in fondo, dimostra che, a parte se stesso, poco gl’importa di tutto il resto; chi invece sa di custodire un tesoro nel suo cuore[8], lotta contro tutto ciò che gli si oppone. Dire di “no” ad alcune cose vuol dire impegnarsi a farne altre, a trovare il proprio posto nel mondo, a rivelare agli altri la propria scala di valori, il proprio modo di essere e di comportarsi. Significa, quanto meno, voler forgiare il carattere, impegnarsi in ciò che davvero si desidera e farlo conoscere con il proprio operato.


L’espressione “ben temprato”, detta di qualcuno, dà un’idea di solidità, di consistenza: La temperanza è padronanza di sé. Una padronanza che si ottiene quando si è coscienti che non tutto ciò che sperimentiamo nel corpo e nell’anima va lasciato senza freno. Non tutto ciò che si può fare si deve fare. È molto agevole lasciarsi trasportare dagli impulsi che vengono chiamati naturali; ma al termine della loro corsa non si trova altro che la tristezza, l’isolamento della propria miseria[9].


L’uomo finisce per dipendere dalle sensazioni che l’ambiente circostante risveglia in lui, e cerca la felicità nelle sensazioni fugaci, false, che, proprio perché passeggere, non soddisfano mai completamente. L’intemperante non può trovare la pace, ondeggia da una parte all’altra, e finisce per impegnarsi in una ricerca senza fine, che si trasforma nella fuga da se stesso. È un eterno insoddisfatto, che vive senza mai accontentarsi della propria situazione, come se fosse necessario cercare sempre nuove sensazioni.


Nella intemperanza si nota come non mai l’asservimento al peccato. Dice l’Apostolo: Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza[10]. L’intemperante sembra aver perduto il controllo di se stesso, dedito com’è a cercare sensazioni. Invece la temperanza annovera tra i suoi frutti la serenità e la pace. Non elimina né nega i desideri e le passioni, ma fa dell’uomo un vero padrone, un vero signore. La pace è «tranquillità nell’ordine»[11] e si trova soltanto in un cuore sicuro di sé e generoso fino al sacrificio.

















Temperanza e sobrietà




Come si può insegnare la virtù della temperanza? San Josemaría ha affrontato la questione in numerose occasioni, mettendo l’accento su due idee fondamentali: per educare sono necessarie la fortezza e l’esempio, e occorre incoraggiare la libertà. Diceva che i genitori devono insegnare ai figli a vivere con sobrietà, a condurre una vita un po’ spartana, vale a dire, cristiana. È difficile, ma bisogna essere coraggiosi; abbiate il coraggio di educare all’austerità, altrimenti non otterrete nulla[12].


Da quanto sopra è facile comprendere l’importanza di questa virtù; ma può sembrare sorprendente che san Josemaría consideri che una vita spartana sia sinonimo di vita cristiana o, al contrario, che l’essere cristiano sia collegato con l’essere spartano. Sembra che la soluzione del paradosso stia nel collegare la vita spartana all’importanza che ha il coraggio – parte della virtù della fortezza – necessario per educare nella temperanza.


Inoltre, a questo punto bisogna distinguere due significati del coraggio: prima di tutto, è necessario essere coraggiosi per accettare personalmente un modo di vivere spartano – vale a dire, cristiano –. Nessuno può dare ciò che non ha, e ancor più se si considera che per insegnare la virtù della temperanza sono di grande importanza l’esempio e l’esperienza personale. Proprio perché si tratta di una virtù le cui azioni tendono al distacco, è di estrema importanza che gli educandi abbiano davanti gli occhi le conseguenze.


Se coloro che sono sobri trasmettono la gioia e la pace dell’anima, i figli avranno un incentivo per imitare i genitori. Il modo più semplice e naturale di trasmettere questa virtù è l’ambiente familiare, soprattutto quando i bambini sono piccoli. Se notano che i genitori rinunciano con eleganza a ciò che ritengono un capriccio o sacrificano il loro riposo per occuparsi della famiglia – per esempio, aiutandoli a fare i compiti di scuola, oppure facendo il bagno ai piccoli o dando loro da mangiare o da giocare –, assimileranno il significato di queste azioni e le metteranno in relazione con l’atmosfera che si respira in famiglia.


In secondo luogo, ci vuole coraggio anche per proporre la virtù della temperanza come uno stile di vita buono e desiderabile. È vero che, quando i genitori vivono sobriamente, sarà più facile suggerirla attraverso alcuni comportamenti concreti; però qualche volta i genitori possono avere il dubbio di interferire nella legittima libertà dei figli o di imporre loro, senza averne il diritto, il proprio modo di vivere. Può darsi anche che si chiedano se sia efficace imporre o esigere cose che i figli non possono o non vogliono accettare. Se un loro capriccio viene respinto, non rimarranno profondamente insoddisfatti, specialmente nel caso in cui i loro amici hanno ottenuto quanto volevano? Non sarà che in tal modo i figli si sentiranno “discriminati” nelle loro relazioni sociali? O, peggio ancora, non potrebbero essere indotti a prendere le distanze dai genitori e diventare insinceri?


Se ci si pensa bene, ci renderemo conto che nessuno di questi motivi è sufficientemente convincente. Quando uno si comporta con sobrietà, scopre che la temperanza è un bene, e che non si tratta di caricare i figli di un fardello insopportabile, ma di prepararli alla vita. La sobrietà non è semplicemente un modello di condotta che uno “sceglie” e che non si può imporre a nessuno, ma è una virtù indispensabile per mettere un poco di ordine nel caos che il peccato originale ha introdotto nella natura umana.


Bisogna essere consapevoli, pertanto, che ogni persona deve lottare per acquistarla, se vuole essere padrone e signore di se stesso. È necessario convincersi che, per educare, non è sufficiente il buon esempio. Dobbiamo saper spiegare e provocare situazioni nelle quali i figli possano esercitare la virtù e, quando si presenta il caso, dobbiamo opporci – chiedendo al Signore la forza per farlo – ai capricci che la moda e gli appetiti del figlio – certamente naturali, ma provocati già da una incipiente concupiscenza – reclamano.








Libertà e temperanza




Si tratta di educare contemporaneamente nella temperanza e nella libertà: sono due ambiti che è possibile distinguere, ma non separare; soprattutto perché la libertà “attraversa” l’intero essere della persona ed è alla base della stessa educazione. L’educazione tende a fare in modo che ognuno diventi capace di prendere liberamente le decisioni giuste, che gli definiranno la vita.


Non si educa con un atteggiamento protettivo, nel quale, di fatto, i genitori finiscono per soppiantare la volontà del bambino e controllare ogni suo movimento. Non si educa neppure con un’azione eccessivamente autoritaria che non lascia spazio alla crescita della personalità e del criterio personale. In entrambi i casi, il risultato finale assomiglierà più a un surrogato di noi stessi o a una caricatura di una persona senza carattere.


La cosa migliore è permettere che il figlio prenda un po’ alla volta le proprie decisioni in armonia con l’età che ha; impari anche a scegliere, e a comprendere le conseguenze dei suoi atti, e si renda conto del sostegno che riceve dai genitori – e di quanti intervengono nella sua educazione – per fare scelte indovinate o, eventualmente, per cambiare una decisione errata.


Un episodio della sua infanzia, che san Josemaría ha raccontato in diverse occasioni, può chiarire il concetto: i suoi genitori erano intransigenti con i suoi capricci, e quando c’era una pietanza che non gli piaceva, sua madre, invece di preparargliene una diversa, gli diceva di cominciare dal secondo piatto... Alla fine, dopo qualche giorno, il bimbo lanciò il piatto di minestra contro la parete...; e i genitori lasciarono per parecchi mesi la parete macchiata, affinché egli avesse presenti a lungo le conseguenze del suo gesto[13].


Il comportamento dei genitori di san Josemaría dimostra come sia possibile far convivere il rispetto della libertà del figlio con la necessaria fortezza per non transigere in presenza di un capriccio. Naturalmente il modo di affrontare ogni situazione sarà diverso. In fatto di educazione non esistono ricette generali; è importante cercare ciò che è meglio per l’educando e aver chiare – per averle provate – quali siano le cose buone che deve imparare a volere e quali le cose che possono essere nocive. In ogni caso conviene mantenere e promuovere il principio del rispetto della libertà: è preferibile sbagliare in certe situazioni, piuttosto che imporre sempre il proprio parere; ancor più se i figli lo considerano poco ragionevole o arbitrario.


Il semplice episodio del piatto lanciato, inoltre, ci offre l’occasione di soffermarci su uno dei primi campi in cui occorre educare la virtù della temperanza: quello dei pasti. Tutto quello che si fa per stimolare le buone maniere, la moderazione e la sobrietà aiuta ad acquisire questa virtù.


Non c’è dubbio che ogni età presenta alcune circostanze specifiche, per cui la formazione deve essere affrontata con modalità diverse. L’adolescenza richiederà nelle relazioni sociali maggiori attenzioni che nell’infanzia, mentre permetterà di razionalizzare meglio i motivi che inducono a vivere in un certo modo, ma la temperanza nei pasti si può perfezionare sin da bambini con relativa facilità, se li dotiamo di alcune risorse – fortezza nella volontà e autodominio – che saranno per loro di indiscussa utilità quando arriverà il momento di lottare durante l’adolescenza.


Così, per esempio, preparare menù diversi, saper troncare capricci e stravaganze, incoraggiare a finire la pietanza che non piace, a non lasciare nulla nel piatto di ciò che è stato servito, insegnare a usare correttamente le posate o ad aspettare che si servano tutti prima di cominciare a mangiare, sono alcuni modi concreti per rafforzare la volontà del bambino. Inoltre, durante l’infanzia, il clima familiare di sobrietà che cercano di vivere i genitori – coraggiosamente sobri! – si trasmette come per osmosi, senza essere costretti a fare qualcosa di speciale.


Se il cibo che avanza non si butta via, ma si utilizza di nuovo, se i genitori non mangiano fuori orario o permettono che ci si serva di nuovo del dessert che tanto è piaciuto, i ragazzi crescono imparando un giusto modo di fare. Al momento opportuno si spiega il perché di ogni comportamento, affinché tutti possano capire: una cosa conviene alla propria salute, un’altra serve a mostrarsi generosi e affettuosi verso un fratello, oppure è un’opportunità di offrire una piccola mortificazione a Gesù...; tutti motivi che in genere i bambini capiscono meglio di quel che noi adulti pensiamo.


L’adolescenza offre nuove possibilità di educare alla temperanza, perché il giovane ha una maggiore maturità e ciò facilita l’acquisizione delle virtù, riuscendo a far propri abiti di comportamento e motivazioni. Sebbene il bambino possa abituarsi a fare cose buone, soltanto quando arriva a una certa maturità affettiva e intellettuale può approfondire il significato delle proprie azioni e valutarne le conseguenze.


Durante l’adolescenza è importante spiegare il perché di alcuni comportamenti, forse ritenuti dai giovani dei semplici formalismi; o di alcuni limiti che conviene imporre al comportamento personale, e che spesso essi valutano come proibizioni. In definitiva, dobbiamo imparare a dare ragioni valide, quando è necessario moderare i comportamenti. Per esempio, nella maggioranza dei casi non sarà sufficiente parlare della necessità di moderarsi nel campo dei divertimenti, contrapponendoli allo studio in vista di ottenere un futuro personale sicuro e brillante; pur trattandosi di un ragionamento legittimo, si basa su una prospettiva ancora lontana e non ancora in grado di interessare i giovani.


È più efficace far notare che la virtù è attraente fin da ora, facendo presenti gli ideali magnanimi che già riempiono i loro cuori, i motivi che li muovono, i loro grandi amori: la generosità verso chi ha bisogno, la lealtà verso gli amici, ecc. Bisogna continuare ad affermare che la persona temperante e sobria è più in grado di aiutare gli altri. Chi è padrone di sé ha meravigliose possibilità di donarsi al servizio del prossimo e di Dio, e di raggiungere così la massima felicità e pace che si può ottenere sulla terra.


Inoltre, l’adolescenza presenta situazioni nuove nelle quali si può essere sobri e temperanti. La curiosità naturale di chi sta imparando un po’ alla volta ad aprirsi alla vita e a camminare nel mondo, si associa a una nuova sensazione di dominio del proprio futuro. Compare così il desiderio di provare e sperimentare tutto, cosa che si identifica facilmente con la libertà. I giovani vogliono sentirsi in qualche modo liberi da ogni coercizione, a tal punto che ogni commento o riferimento a orario, ordine, studio, spese, è considerato una “ingiusta imposizione”.


D’altra parte, questa visione, tanto diffusa oggi, è spesso rilanciata e potenziata da molteplici interessi commerciali che cercano di trasformare gli aneliti giovanili in un affare.


È il momento in cui i genitori non possono lasciarsi scavalcare dalle circostanze, ma devono pensare in positivo, cercando insieme ai figli soluzioni creative e motivazioni; inoltre devono unirsi a loro nella ricerca di un’autentica libertà interiore, esercitare la pazienza e pregare per loro.

















Una chiave di felicità




Nelle società occidentali una buona parte della pubblicità è rivolta ai giovani, che negli ultimi anni hanno aumentato notevolmente la loro capacità di acquisto. Le diverse marche diffondono le mode, proponendo stili di vita con i quali alcuni si identificano, mentre altri se ne discostano.


Il “possesso” di oggetti di una determinata marca serve in qualche modo a farsi accogliere in una determinata società; uno è accettato nel gruppo, si sente integrato, anche se ciò non avviene per ciò che si è ma per ciò che si ha e che rappresenta davanti agli altri. Spesso negli adolescenti il consumo non è determinato tanto dal desiderio di avere (come nei bambini), quanto da un modo di esprimere la propria personalità o di manifestare meglio la propria posizione nel mondo agli occhi degli amici.


A parte questi motivi, la società dei consumi incita le persone a non limitarsi a quello che hanno, ma a provare l’ultima novità disponibile sul mercato. Quasi ci si sente obbligati a cambiare il computer o l’automobile ogni anno, ad acquistare l’ultimo modello di cellulare o un certo capo di abbigliamento che poi quasi non viene usato, ad accumulare, per il solo piacere di possedere, dischi, film o programmi informatici del tipo più diverso. Sono persone succube dell’emozione che produce il comprare, il consumare; hanno perduto il dominio delle proprie passioni.


Naturalmente non tutta la colpa è della pubblicità o dell’aria che tira. Forse gli educatori non sono stati sufficientemente incisivi; perciò conviene che i genitori, e in genere coloro che in un modo o in un altro si dedicano alla formazione, si chiedano spesso come svolgere meglio questo lavoro, che è il più importante di tutti perché da esso dipende la felicità delle generazioni future, e la giustizia e la pace nella società.


I genitori devono essere consapevoli che il tenore di vita e di spese si riflette sul clima familiare. Come in tutto, bisogna essere esemplari, in modo che i figli capiscano, sin da piccoli, che vivere secondo la propria posizione sociale non significa cadere nel consumismo o nello sperpero. Per esempio, esiste il detto che “il pane è di Dio e non si butta via”. È un modo concreto di far capire che bisogna mangiare con lo stomaco e non con gli occhi, e che si deve mangiare tutto quello che viene servito, con animo grato, perché molte persone vivono nel bisogno; così sarà implicito che tutto quello che riceviamo e possediamo – il nostro pane quotidiano – è un dono che dobbiamo utilizzare e amministrare come tale.


È comprensibile il desiderio di evitare che i figli manchino di ciò che altri hanno, o che dispongano di ciò che noi non avevamo da piccoli; però non è logico dare loro tutto. Così si stimolano i confronti, un cattivo desiderio di emulazione che, se non viene moderato, può degenerare in una mentalità materialista.


La società nella quale viviamo è zeppa di gradi, di categorie e di statistiche che più o meno coscientemente ci incitano a competere. Dio nostro Signore non fa paragoni. Ci dice: figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo[14]; per Lui, tutti siamo prediletti, ugualmente apprezzati, amati e valutati. Forse è questa una delle chiavi dell’educazione alla felicità: rendiamocene conto noi e aiutiamo i nostri figli a capire che per loro ci sarà sempre un posto nella casa del padre, che ognuno è amato per se stesso, che egli tratta con lo stesso amore, e in modo disuguale, i figli disuguali[15].


Del resto la formazione alla sobrietà non si riduce a pura negazione: occorre insegnarla in termini positivi, facendo capire ai figli in che modo conservare e usare meglio quello che si ha: gli indumenti, i giocattoli. Occorre dar loro qualche responsabilità, in base all’età di ognuno: l’ordine nella propria camera, l’attenzione ai fratelli più piccoli, gli incarichi materiali in casa (preparare la colazione, comprare il pane, gettare nei cassonetti la spazzatura, apparecchiare la tavola...). Occorre far loro notare, con l’esempio, che l’eventuale mancanza di un bene si sopporta lietamente, senza lamentarsi; e stimolare la loro generosità verso chi ha bisogno.


San Josemaría ricordava con piacere che suo padre, anche dopo aver subito un rovescio economico, era sempre molto caritatevole. È la vita quotidiana che crea l’atmosfera familiare nella quale si nota che le persone - e non le cose - sono molto importanti.


Possedere il mondo Tu sii sobrio in tutto[16]: questa breve istruzione di san Paolo è valida in tutti i tempi e luoghi. Non è un criterio riservato ad alcuni chiamati a una donazione particolare, né è solo qualcosa che devono vivere i genitori ma che non si può “imporre” ai figli. Occorre piuttosto che i genitori e gli educatori scoprano il suo significato e lo applichino a ogni età, a ogni tipo di persona e a ogni situazione.


Bisogna agire con prudenza, imparando a riflettere sulle cose, a chiedere consiglio, e così essere in grado di prendere decisioni azzeccate. Se, malgrado tutto, le ragazze o i ragazzi non comprendono subito la convenienza di un provvedimento e protestano, si può star certi che in seguito sapranno apprezzarlo e lo gradiranno. Perciò è necessario armarsi di pazienza e di fortezza, perché in questo ambito è necessario andare contro corrente.


Tutti noi dobbiamo avere chiaro che non è un criterio valido voler fare una determinata cosa solo perché la fanno tutti: Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto[17].


È dunque bene adottare una misura in ciò che si dà ai figli; si impara a essere sobri sapendo amministrare ciò che si ha. Riferendosi esplicitamente al denaro, san Josemaría ammoniva i genitori: Un eccesso di affetto li farà imborghesire troppo. Quando non è il papà, è la mamma; oppure la nonnina. Certe volte, tutt’e tre, ognuno per la sua parte e in gran segreto. E il ragazzo, con i tre segreti, può perdere l’anima. Mettetevi d’accordo. Non siate taccagni con i figli, però tenete conto delle capacità di ciascuno, della serenità di ciascuno, della possibilità di autogovernarsi; e non siano mai nell’abbondanza, finché non siano essi stessi a guadagnarsela[18]. Bisogna insegnare ad amministrare il denaro, a comprare bene, a utilizzare correttamente gli strumenti, come il telefono, le cui fatture si pagano, affinché si rendano conto di quando si spende per il solo piacere di spendere...


Il denaro è solo un aspetto della questione. Qualcosa di simile succede nell’uso del tempo. Una misura sobria negli spazi dedicati all’intrattenimento, agli hobby o allo sport fa parte di una vita temperata. La temperanza in questo campo permette di liberare il cuore, dedicandoci a cose che ci aiutano a uscire da noi stessi e ci permettono di arricchirci coltivando la vita di famiglia o le amicizie. Per esempio, lo studio, oppure il tempo e il denaro dedicati ai più bisognosi, cosa che conviene stimolare nei ragazzi fin da quando sono piccoli.


Temperare la curiosità, incoraggiare il pudore La temperanza rende l’anima sobria, moderata, comprensiva; le dà un naturale riserbo, pieno di attrattiva, perché nella condotta si nota il dominio dell’intelligenza[19]. Con queste parole san Josemaría sintetizza i frutti della temperanza e li associa a una virtù molto particolare: la discrezione, che possiamo concepire come una modalità del pudore e della modestia.


“Modestia” e “pudore” sono parti integranti della virtù della temperanza[20], perché un altro campo di questa virtù è proprio la moderazione dell’impulso sessuale. «Il pudore custodisce il mistero delle persone e del loro amore. Suggerisce la pazienza e la moderazione nella relazione amorosa; richiede che siano rispettate le condizioni del dono e dell’impegno definitivo dell’uomo e della donna tra loro. Il pudore è modestia. Ispira la scelta dell’abbigliamento. Conserva il silenzio o il riserbo là dove trasparisse il rischio di una curiosità morbosa. Diventa discrezione»[21].


Non c’è dubbio che, se l’adolescente ha formato pian piano la propria volontà durante l’infanzia, quando arriva il momento possiederà quella naturale discrezione che gli permetterà di inquadrare la sessualità in un modo veramente umano. Però è importante che il padre con i figli, e la madre con le figlie, i genitori abbiano saputo guadagnarsi la loro confidenza, e così abbiano la possibilità di spiegare, quando essi sono nelle condizioni di comprenderlo, la bellezza dell’amore umano.


Come consigliava san Josemaría, il papà deve diventare amico dei figli. Non può far altro che sforzarsi in questo campo, perché arriverà un momento in cui i bambini, se il papà non ne ha parlato con loro, vanno in giro con una certa curiosità – in parte ragionevole e in parte malsana – a domandare quali sono le origini della vita. Se lo chiedono a un amichetto svergognato, poi guarderanno con disgusto i loro genitori. Invece se tu – che lo hai seguito fin da bambino e noti che è il momento – gli dici, dopo aver invocato il Signore, con parole nobili, qual è l’origine della vita, il bambino andrà ad abbracciare la mamma perché è stata tanto buona, ti bacerà con tutta l’anima e dirà: com’è buono Dio, che si è servito dei miei genitori, concedendo loro una partecipazione al suo potere creatore. Magari il bambino non lo dirà in questi termini, perché non ne sarà capace; però lo sentirà. E penserà che il vostro amore non è una cosa sconcia, ma una cosa santa[22]. Questo sarà più facile se non eluderemo le domande che i bambini pongono con naturalezza e daremo le risposte adeguate alla loro capacità di capire.


Anche in questo caso, come succedeva quando ci riferivamo all’educazione della temperanza durante i pasti, l’esempio è fondamentale. Non basta dare spiegazioni; bisogna dimostrare con i fatti che «non conviene guardare ciò che non è lecito desiderare»[23], preoccupandoci che in casa nostra ogni cosa abbia il tono che si notava nella casa di Nazaret.


In tal senso, la banalizzazione della sessualità che si fa nella società di oggi richiede una grande attenzione verso la televisione, internet, i libri e i videogiochi. Non si tratta di stimolare una sorta di “timore reverenziale” verso queste realtà, ma di servirsene come di opportunità educative, insegnando a usarle in senso positivo e critico, senza timore di respingere tutto ciò che produce danno all’anima o trasmette una visione deformata della persona. Dobbiamo essere consapevoli di ciò che è evidente: Fin dal primo momento, i figli sono testimoni inflessibili della vita dei propri genitori. Non ve ne rendete conto, ma essi giudicano tutto, e a volte vi giudicano male. Sicché le cose che accadono in casa influiscono, nel bene o nel male, sulle vostre creature[24].


Se i figli vedono che i genitori cambiano canale quando in televisione appare una notizia scabrosa, una pubblicità di basso livello o una scena sconveniente di un film; se notano che essi si informano sui contenuti morali di uno spettacolo prima di vederlo o di un libro prima di leggerlo, capiranno che stanno trasmettendo loro il valore della purezza. Quando, camminando per la strada, si renderanno conto che i genitori o gli educatori non fanno attenzione a determinate pubblicità o insegnano loro a non curiosare e a riparare, i figli capiranno che la purezza di cuore è una cosa che vale la pena curare, che merita di essere protetta e che in qualche modo fa parte del clima familiare nel quale vivono. «Insegnare il pudore ai fanciulli e agli adolescenti è risvegliare in essi il rispetto della persona umana»[25].


Vegliare su queste cose non vuol dire propriamente educare nella temperanza. È una condizione indispensabile per la vita cristiana, ma una virtù non si educa solo “evitando il male” – aspetto inseparabile della vita della grazia in generale –, ma moderando i piaceri che sono in se stessi buoni. Perciò è ancora più importante insegnare a usare le cose e gli strumenti che si hanno a disposizione, per quanto buoni possano essere i contenuti.


È evidente che vedere indiscriminatamente la televisione, sia pure in famiglia, finisce per guastare il clima della casa. Ancora peggio quando ogni camera ha un proprio televisore e ognuno vi si chiude dentro per vedere i programmi preferiti. Qualcosa di simile si potrebbe dire sull’uso indiscriminato (a volte, coatto) dei telefoni cellulari o dei computer.


Come in tutto, un impiego sobrio di questi strumenti da parte dei genitori e degli educatori insegna ai ragazzi a fare lo stesso. Con l’aggravante che, nel caso dei genitori, passare ore davanti al televisore ‘per vedere che cosa c’è’, non solo diventa un cattivo esempio, ma finisce per essere una mancanza di attenzione verso i figli, i quali notano che i loro genitori si preoccupano di più delle persone estranee che di loro stessi.


Se la temperanza è dignità, conviene ricordare che non c’è maggior dignità che sapersi a servizio: al servizio volontario di tutte le anime! È così che si conquistano i grandi onori: quelli della terra e quelli del Cielo[26].


La temperanza permette di impiegare il cuore e le capacità di una persona nel servizio al prossimo, nell’amare, unica chiave dell’autentica felicità. Sant’Agostino, che dovette lottare molto contro le tentazioni dell’intemperanza, dava questa spiegazione: «Fissiamo la nostra attenzione sulla temperanza, le cui promesse sono la purezza e l’incorruttibilità dell’amore che ci unisce a Dio. La sua funzione è quella di reprimere e pacificare le passioni che bramano tutto ciò che ci allontana dalle leggi di Dio e dalla sua bontà o, che è lo stesso, dalla beatitudine. Qui, infatti, ha la sua sede la Verità, la cui contemplazione, godimento e intima unione ci rende felici; al contrario, quelli che da essa si allontanano si vedono catturati nelle reti dei più grandi errori e afflizioni»[27].
Argomento pubblicato su Blog CATTOLICI, il Raccoglitore Italiano di BLOG di Fedeli CATTOLICI...
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[1] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1809.

[2] Cfr. San Tommaso d’Aquino, S. Th. II-II, q. 141, aa. 4, 6 e S. Th. I, q. 76, a. 5.

[3] Cfr. Mt 5, 3-11.

[4] Rm 7, 19.

[5] San Josemaría, Cammino, n. 5.

[6] San Josemaría, Autografo, in P. Rodríguez (ed.), Camino. Edición crítico-histórica, Rialp, Madrid 2004(3), p. 221.

[7] San Josemaría, Incontro del 28-X-1972, in P. Rodríguez (ed.), Camino. Edición crítico-histórica, Rialp, Madrid 2004(3), p. 221.

[8] Cfr. Mt 6, 21.

[9] San Josemaría, Amici di Dio, n. 84.

[10] Ef 4, 19.

[11] Sant’Agostino, De civitate Dei, 19, 13.

[12] San Josemaría, Incontro nella Scuola Castelldaura (Barcellona), 28-XI-1972. Vid. http://www.es.josemariaescriva.info/articulo/la-educacion-de-los-hijos.

[13] Cfr. A. Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei (I), Leonardo International, Milano 1999, p. 26.

[14] Lc 15, 31.

[15] San Josemaría, Solco, n. 601.

[16] 2 Tm 4, 4.

[17] Rm 12, 2.

[18] San Josemaría, Tertulia allo IESE (Barcellona), 27-XI-1972. Vid. http:www.es.josemariaescriva.info/articulo/la-educacion-de-los-hijos.

[19] San Josemaría, Amici di Dio, n. 84.

[20] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2521.

[21] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2522.

[22] San Josemaría, Tertulia nell’Istituto Enxomil (Oporto), 31-X-1972.

[23] San Gregorio Magno, Moralia, 21.

[24] San Josemaría, Tertulia a Pozoalbero (Jerez de la Frontera), 12-XI-1972. Vid. http:www.es.josemariaescriva.info/articulo/la-educacion-de-los-hijos.

[25] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2524.

[26] San Josemaría, Forgia, n. 1045.

[27] Sant’Agostino, Le consuetudini della Chiesa Cattolica, cap. 19.



Si ringrazia,
J.M. Martín e J. De la Vega
fonte: Opus Dei













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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