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Matrimonio e Famiglia: l’antropologia cristiana
della coppia e le
nuove ideologie del gender







Ripartire dalla Gaudium et Spes, la costituzione pastorale che ha visto la Chiesa interrogarsi sull’uomo nel mondo contemporaneo, è sicuramente un’occasione preziosa per ridar luce ai valori che in essa profeticamente sono stati proposti e indicati “all’intera famiglia umana” (GS 2).
Varie le prospettive affrontate, e la prospettiva antropologica, in particolare, costituisce un apporto fondamentale per il quale, sicuramente, Gaudium et Spes riveste al giorno d’oggi un significato importante ed un ruolo profetico. Possiamo definire la “crisi” che la famiglia oggi sta attraversando, una “crisi di crescenza” (GS 4) perché ci richiama a riaffermare il valore positivo dell’amore umano e della sessualità e a riscoprire il volto dell’uomo/donna che, come “una sola carne” nella distinzione sessuale della loro distinta persona, contempliamo come creati ad immagine e somiglianza della comunione trinitaria (Gn 1,26-28).

Si racconta che un famoso pittore russo, ormai preso dallo sconforto per la disastrosa situazione in cui versava la propria terra devastata dalle invasioni, mentre la popolazione era ormai ridotta allo stremo per la povertà, abbia ricominciato a dipingere dopo aver ritrovato un’antica icona di Cristo, tra le macerie di una Chiesa. Così, anche noi, siamo invitati a riscoprire la bellezza di Cristo Uomo nuovo, e nel suo amore per la Chiesa, avremo la possibilità di guardare con speranza al cammino dell’amore umano, guardando ad esso come ad una meravigliosa icona sul mistero dell’amore di Dio che allora Rüblev decise di dipingere e che ancora oggi apre il cuore della Chiesa universale alla contemplazione dell’Incarnazione e del mistero dell’amore del Dio Uni-Trino.
Dobbiamo recuperare uno sguardo positivo da ridonare all’uomo e alla donna di oggi. Questo ottimismo era rimarcato da Karol Wojtyla già nelle pagine dedicate all’analisi della Gaudium et Spes in alcuni saggi editi tra il 1975 e il 1978, che insieme alle principali opere, Persona e atto (...) e Amore e responsabilità (...), riproponevano in continuità profonda sia il suo pensiero fondativo sia il messaggio profetico conciliare sull’antropologia teologica. “Le profonde mutazioni dell’odierna società”, “nonostante le difficoltà che con violenza ne scaturiscono, molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura dell’istituto” familiare (cfr. GS 47), ma “nonostante tutti i traviamenti, e in un certo senso anche attraverso essi, il valore dell’alleanza coniugale e del legame familiare che da essa trae origine prende risalto e si rafforza sempre più pienamente” 1. “Gli errori”, “le alterazioni”, dunque, di cui si fa portavoce Wojtyla insieme a Gaudium et Spes, “non oscurano la luce divina, anzi le consentono di agire quasi in modo più penetrante sulla consapevolezza e sulle coscienze degli uomini” 2.

La crisi dunque ci apre una nuova possibilità per riscoprire la bellezza della sessualità, dell’amore coniugale, della famiglia, dell’amore umano, illuminati dal mistero dell’amore di Cristo.







1 - L’ANTROPOLOGIA TEOLOGICA IN GAUDIUM ET SPES E NEL PENSIERO DI KAROL WOJTYLA


La nostra breve relazione, vuole dunque ripercorrere insieme a Wojtyla i passi dell'antropologia teologica proposta da Gaudium et Spes, per ritrovare e contemplare il positivo che Dio-comunione ha posto nel cuore dell’uomo e della donna, nel dono dell’amore, e attraverso questo riscoprire il dono dell’imago, nell’essere icona del Dio Trinità.
Lo stesso Wojtyla, nel 1975, presentava la Gaudium et Spes come “uno sviluppo organico della teologia della famiglia”, ritrovando in essa il valore imprescindibile della comunità familiare come “il luogo in cui ogni uomo si rivela nella sua unicità e irripetibilità” 3. È nella famiglia e nell’amore, dunque, che si può scoprire il volto dell’uomo-donna nell’‘essere in relazione’, capaci di riflettere in sé il volto di Cristo, l’uomo nuovo, vera icona del Padre, e nella loro comunione la somiglianza con la comunione delle Persone trinitarie. La prima parte della riflessione, dunque, strettamente filosofica, pone in rilievo una visione cristiana della antropologia filosofica e della persona umana come essere in relazione, mentre, in perfetta continuità con essa, nella seconda parte, l’antropologia teologica ci aiuterà a riscoprire il fondamento proprio dell’“essere in relazione” nella visione dell’uomo e della donna come figli di Dio, capaci di “comunione” e del “dono di sé” ad immagine del Dio Trinitario.





- La persona essere in relazione


In primo luogo, nel contesto sociale, risulta molto importante nella riflessione sull’uomo di Gaudium et Spes il confronto molto positivo assunto con le moderne riflessioni filosofiche (ad esempio ricordiamo A. Rosmini 4 e M. Buber 5). Prendendo coscienza della dimensione soggettiva e relazionale che costituisce la natura umana, anche grazie agli apporti di Karol Woytiła, si supera una prospettiva dualistica e una concezione di natura astratta e metafisica, proprio prendendo in carico il tema della soggettività e dell’esperienza.
Anche gli studi biologici sulla persona, infatti, confermano l’importanza dell’essere in relazione: ontologicamente, l’io, dai primissimi attimi dell’esistenza, si manifesta come un essere costituito dal ‘rapporto con un tu’; piccolissimo, già nei primi giorni dal concepimento, tuttavia, quel piccolo agglomerato di cellule è un “io” in grado di compiere un passaggio radicale che lo porterà nella sua evoluzione a strutturarsi pienamente e a determinare il suo essere vitale in modo preciso e determinato, seguendo un “progetto-programma individualizzato”, tanto da poter distinguere già nell’embrione, anche se ancora in germe, un ‘io’ dalla soggettività personale e irriducibile6 . In questa primo essere si disvela il cuore della dignità della persona, nel suo essere in relazione con l’altro e con la capacità, ancora non pienamente espressa, dell’amore.
Ed è proprio nello sviluppo di questa capacità di amare e di rimanere aperto alla relazione (e al lasciarsi amare) che la persona trova la via per la propria crescita, evoluzione e compimento7. In breve, Karol Wojtyla in un saggio del 1978, dove proseguiva l’analisi della soggettività umana in rapporto alla ‘partecipazione’ spiegava: “Io attingerò molte cose all’esperienza del mio «io», ma mai separatamente «dagli altri» o in contrapposizione ad essi” 8. Questo primo passaggio antropologico sottolinea l’importanza per Wojtyla della partecipazione e dell’essere in relazione con una “comunità”, che sia il rapporto «io-tu» o di un «noi».





- La soggettività personale e la trascendenza


L’apertura della persona conferma la sua soggettività personale e nello stesso tempo la indirizza a comprendere la soggettività dell’altro, ora visto come un ‘io’ con cui porsi in relazione, un ‘tu’ che è unico e irriducibile nel suo essere un altro ‘io’, un’altra identità. L’esperienza della persona, dunque, porta ad una coscienza di sé, ma anche dell’altro, come soggetto autodeterminantesi.
Questo consente non solo di riconoscersi partecipi della stessa umanità, ma che nella “partecipazione” dell’io e del tu al noi, si rivela la trascendenza e l’irriducibilità della persona: in essa, infatti, l’attesa del proprio compimento, non da sé, e neanche dall’altro, ma da un ulteriore Tu, rivela il rapporto con l’Altro con la A maiuscola. Questo nuovo Tu si rivela nel noi, ma si rende riconoscibile come un bene ‘altro’ in cui solamente può rispecchiarsi la coscienza. E nello sceglierlo e nel riconoscerlo corrispondente al proprio fine ultimo, la persona viene altresì strutturata dal bene e condotta verso il compimento di sé 9.

Questo costituirsi della persona in rapporto al bene è ben spiegato da Wojtyla in numerosi testi. Ma comprendere la trascendenza della persona, vuol dire anche aprirsi ad amare l’altro con gratuità e in totalità. “Il vero amore [..] abbraccia il bene di tutta la persona” (GS 49): è una espressione di Gaudium et Spes, in cui sembrano risuonare e completarsi le parole di Wojtyla: “Per il suo rapporto con la felicità, cioè con la pienezza del bene, l’amore umano sfiora in un certo senso Dio” 10. L’amore allora si veste di umiltà e rispetto, quasi come si ‘togliesse i calzari’ dinanzi alla sacralità dell’individuo e al suo rapporto con Dio, cade ogni tentativo di possedere l’altro, proprio quando comprende che nel desiderio di felicità, nell’anelito al suo compimento, la persona è in relazione diretta con un Tu misericordioso che la ama infinitamente 11. Anche questo secondo passaggio ci aiuterà nella comprensione di cosa costituisce una communio.
Vi è una comunità, infatti, per Wojtyla, tanto intima, come quella familiare, se nella relazione tra un io e un tu, l’altro viene affermato ed amato nella sua trascendenza, riconoscendo la sua soggettività nell’essere “creato per se stesso”, con la sua capacità di autopossesso, autodominio, di scelta e autodeterminazione, e in questo dunque pienamente capace del dono di sé. “L’uomo è capace di tale dono [sincero di sé] proprio perché è persona e la struttura propria della persona è struttura di autopossesso e autodominio” 12. Se venisse a mancare questa capacità non sarebbe possibile il vero dono di sé tra i coniugi ma neanche all’interno delle stesse relazioni familiari.





- L’essere-per-l’altro come affermazione reciproca della soggettività


Nel cammino che due persone compiono insieme, verso la piena unità, viene allora confermata la dignità della persona, nella crescita e nel disvelamento di sé. Non si dà, infatti, communio se c’è soltanto una comune “espressione dell’essere o dell’agire”, perché communio è “un modo (modus) tale che esistendo e agendo reciprocamente (e quindi non solo esistendo e agendo «in comune») attraverso questo agire ed essere reciprocamente si confermano e si affermano come persone” 13.
Questo è una prima definizione di communio. Riepilogando, la relazione con gli altri svela l’uomo a se stesso, e nell’aprirsi al destino dell’altro, al suo fine ultimo, afferma il suo bene e diventa capace di amare con gratuità fino al dono di sé. Solo allora, la persona può aprirsi, “affidarsi” totalmente e nell’appartenere all’altro, trovare l’affermazione della propria soggettività14 e il terreno fertile per crescere... Qui si rivela il senso della communio personarum presentata da Gaudium et Spes come “intima comunità di vita e di amore coniugale” (GS 48), una “autentica comunità interpersonale” dove la relazione afferma alla base “il valore trascendente della persona” e quindi la possibilità e la necessità di un suo compimento in qualcosa che pur essendo altro, rafforza e fortifica lo stesso sé 15.





- La communio come qualità dell’essere persona 16


Fin qui siamo nell’ambito dell’antropologia filosofica, potremmo dire, ma Wojtyla vede proprio nel cuore dell’essere umano e nella sua dignità l’impronta della creazione divina e l’attesa del suo compimento. In base a questo si afferma che “il comandamento dell’amore” pone il proprio “principio” nella “norma personalistica” 17, o come si può leggere dietro le righe di Gaudium et Spes, che l’“amore” in quanto “atto eminente umano”, è “diretto da persona a persona” (GS 49). Lo stesso enunciato, ripetuto spesso da Wojtyla, operari sequitur esse, ricorda che l’agire può esprimere la dignità e la soggettività della persona umana, come creatura divina, e precisamente per questo motivo, non siamo solo nell’ambito etico e morale, ma in quanto personalistico, propriamente cristiano 18.
In questo, per Wojtyla, arriviamo al fondamento dell’“antropologia teologica di cui troviamo espressione in Gaudium et Spes 24”, “un’antropologia [...] della persona e del dono” 19 . Occorre tener presente, allora, che il Bene ultimo che può compiere il cuore dell’uomo non è un bene morale o sociale, semplicemente buono, ma deve essere un bene che rivelandosi attraverso i beni concreti, conferma e struttura la persona a sua volta come un bene, ossia, per usare un linguaggio teologico, struttura l’essere persona nel suo essere ad immagine e somiglianza di Dio, quindi nel suo rapporto unico e inalienabile con Dio 20.
Ed è Wojtyla stesso che pone qui il collegamento con la Gaudium et Spes come il cuore dell’antropologia teologica.

La capacità del “dono di sé”, infatti, nasconde l’impronta della creazione dell’uomo-donna: nel loro essere creati con la corporalità, nella specificità della sessualità, è posta l’immagine di Dio che è amore e nella capacità del dono di sé e della comunione risiede l’unica possibilità di conoscersi e realizzarsi come uomo e come donna. Attraverso la sessualità si esprime la relazione d’amore, pur non esaurendosi certo nella genitalità, perché il corpo è ‘sacramento’ dell’amore e della persona 21. Questa dimensione sessuale, iscritta nel corpo umano, visto nella sua totalità, (ricordiamo le Catechesi e il “linguaggio sponsale del corpo” 22), consente il “dono di sé” in cui “è posta la similitudine con la comunione d’amore trinitaria. Il “dono di sé” e l’unità dell’amore rispecchiano dunque l’immagine e la somiglianza con la comunione delle Persone trinitarie.
Qui vediamo disvelarsi il mistero dell’uomo: tutto ciò che Wojtyla ha affermato nell’opera Persona e atto e Amore e responsabilità, delineando una antropologia capace di valorizzare la soggettività personale e in essa l’incommensurabile irriducibilità e dignità dell’uomo, trova un’eco, o meglio la sua “espressione” più profonda in Gaudium et Spes 23, la cui esplicitazione nasconde una “chiave della antropologia teologica” tanto importante da costituire la base della teologia della famiglia 24 .





- Capaci di relazione perché creati a immagine di Dio


Il discorso teologico si è aperto dunque, con Wojtyla e la Gaudium et Spes, ad un confronto positivo con la filosofia dialogica, da cui riprende e approfondisce la definizione di persona ma, con originalità, esplicita come radice della stessa soggettività personale la dimensione ontologica e teologica.
L’espressione primaria del soggetto nell’atto, non solo come agire 25, è rilevante proprio perché comprende tutta la capacità di autodeterminarsi e porsi in rapporto con il Bene ultimo, il suo destino. Le basi di questa soggettività, infatti, si situano “nel suppositum sostanzialmente umano” indipendentemente dalle condizioni dello “sviluppo psico-somatico” o “puramente psichico” raggiunto dalla persona 26 ma direttamente, specifichiamo, nel suo rapporto con Dio.
Egli prosegue fino alle radici di questa soggettività interpersonale e pone l’essere stesso della persona umana, per spiegarla e fondarla radicalmente, nell’essere comunionale dell’uomo e della donna creati ad immagine della comunione trinitaria. E questo già è detto nel saggio in cui Wojtyla sta approfondendo il tema della partecipazione e della comunità, appena ripreso, in cui sviluppa l’ultima parte di Persona e atto, ripercorrendo il tema proprio della soggettività e della relazione evidenziando alcuni spunti ulteriori e originali del suo pensiero. “La relazione col bene comune”, su cui si fonda l’unione di molti “in un solo «noi»”, “deve essere fondata allo stesso modo nella relazione con la verità e col bene «vero» ossia «degno»” della persona umana 27. In altre parole, il bene comune, ciò che desideriamo, anche se è fondamento della comunione e unione con gli altri, non è tale se non è in relazione con un Bene ultimo di cui io sia degno e che sia degno di me, e qui, in nota, è interessante che Wojtyla pone già in essere il paragone con la comunione trinitaria 28.
Ossia, specifica, l’unità del noi addirittura può essere messa in paragone con il Noi delle Persone divine. Cercheremo di esplicitare ancor più chiaramente i passaggi.





- La somiglianza con Dio nel realizzarsi nel dono di sé


Se antropologicamente, Wojtyla afferma che il “noi” non annulla la soggettività ma la disvela, proprio perché è personale, in relazione all’altro da sé 29, la comprensione di questo viene dall’ambito teologico e dalla definizione dogmatica delle Persone trinitarie30: le tre Persone divine sono definite “per-sone” perché mostrano nel mutuo dono di sé e nelle relazioni la loro sussistenza come hypostaseis, nel loro essere unite in un’unica sostanza, ossia la relazione d’amore 31.
Questa dimensione della “per-sona” come dono, ripresa da Gaudium et Spes, consente anche all’uomo e alla donna di scoprire e disvelare contemporaneamente e reciprocamente se stessi attraverso gli altri, fino a scoprire nell’altro, il richiamo dell’Amore. È un Altro con la A maiuscola che, per usare un termine poetico wojtyliano, nel linguaggio dell’Amore ri-chiama a Sé, l’altro attraverso me, e me nell’altro, facendo risuonare la Parola dell’Unico amore, il Verbo incarnato 32. Per Wojtyla le persone attraverso cui Dio rivela il suo Amore, sono come dei richiami nell’oscurità per guidare sulla strada della comunione con l’amato e condurre fino alla Verità di sé, il Dio Amore 33.

La relazione dialogica ‘io-tu’, come quella del ‘noi’, infatti, è un’apertura, e in quanto tale “apre direttamente l’uomo all’uomo” e l’uomo a Dio; e in questa “apertura all’altro” nella partecipazione alla relazione, si garantisce l’essere, il fondamento e la crescita della nostra soggettività 34. “L’uomo come persona compie se stesso attraverso la realizzazione interpersonale «io-tu»” e “attraverso la relazione col bene comune, la quale gli consente di esistere e di agire con gli altri come «noi»” 35. Sarà proprio la parola “bene comune”, a disvelare quale sia il vero Bene quando Wojtyla, sempre rifacendosi a GS 24, afferma che ogni bene perseguito dall’uomo nel suo agire deve essere in “relazione con la verità e col bene «vero» ossia «degno»” della sua umanità e perciò capace di affermare la sua soggettività e costruire la sua personalità 36. Il Bene ultimo, pur rivelandosi attraverso dei beni concreti, è dunque Dio. Citando GS 24, infatti, in una nota al testo, Wojtyla aggiunge: “Quando Gesù prega il Padre che “tutti” siano una cosa sola... così come noi siamo una cosa sola (Gv 17,21-22) aprendo alla ragione umana prospettive inaccessibili, ci fa conoscere una certa somiglianza tra l’unità delle persone divine e l’unità dei figli di Dio uniti nella verità e nell’amore”.
È questo il Bene «vero» e «degno» perché corrisponde alla mia umanità, la afferma, la conferma e la realizza! Questo parallelo, tra l’unità delle Persone divine e l’unità dei cristiani, apre allora la prospettiva antropologica ad una dimensione teologica profonda e inalienabile, che schiude il mistero del cuore dell’uomo al mistero del Dio trinitario. E Wojtyla propone questa chiave di lettura con un linguaggio, in qualche modo, universale. Se però manca il tassello del “linguaggio sponsale del corpo” delle Catechesi sull’amore umano, come la comprensione del valore del corpo e della sessualità, tutto questo non risulta comprensibile.
Occorre dunque un ulteriore passaggio, e per questo ripercorriamo idealmente, insieme a Wojtyla, alcuni brani della Gaudium et Spes.







2 - UN’ANTROPOLOGIA TEOLOGICA DELLA FAMIGLIA: LA ‘DIVINA SOMIGLIANZA’ 37 TRA AMORE UMANO E COMUNIONE TRINITARIA


È interessante rileggere questo percorso ora con una maggiore comprensione del linguaggio wojtyliano. Quando in GS 49 l’amore coniugale viene definito un “atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà”, come un amore che “abbraccia il bene di tutta la persona”, riconosciamo il timbro e il pensiero di Wojtyla.
Proprio in uno dei saggi sopra citati, come in Persona e atto, Wojtyla rimarca l’importanza della volontà, e con essa della coscienza come riconoscimento del Bene per sé, per la conoscenza dell’uomo che attraverso il suo atto può costruire e confermare se stesso o debilitare la propria umanità 38. Nell’atto, riconosce Wojtyla, come agire ed essere di tutta la persona, si esprime interamente la dignità e la soggettività dell’uomo che attraverso l’atto conosce se stesso e pone il compimento di sé. Nella soggettività stessa della persona, dunque, risiede ciò che consente la crescita nel dono di sé, questa apertura e trascendenza al Bene ultimo, ossia a Dio.
Allora, anche qui l’amore coniugale è definito un “atto umano”, “col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono” (ecco il dono di sé), e da esso “nasce un istituto che ha stabilità per ordinamento divino” in quanto “l’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita col patto coniugale, cioè con l’irrevocabile consenso coniugale” (GS 48).
Gaudium et spes si porta dunque avanti nella considerazione del sacramento del matrimonio guardando al valore dell’amore coniugale come una realtà “umana e divina”. Il patto, stretto dai coniugi con il proprio libero consenso, spiega ancora Wojtyla, richiama l’alleanza tra Dio e il popolo, e come tale è Dio a istituirlo tra l’uomo e la donna, come realtà voluta da Dio e da Dio ordinata con leggi proprie, per rendere presente il Suo stesso amore.





- La misura dell’amore umano: la similitudine con la comunione divina


“La trascendenza della persona”, come apertura e tensione al compimento di sé – Wojtyla riprende ancora il Concilio – ha allora come misura addirittura l’inaccessibile, aperto a noi dalle parole di Gesù, che richiama all’unità secondo l’immagine dei figli di Dio” (GS 24).
In uno dei saggi del 1975, Wojtyla riprende sempre Gaudium et Spes 24 che riporta come affermazione principale della sua analisi: “L’uomo il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”39. Il valore e la dignità della persona, voluta da Dio per se stessa, si apre ora a questa immagine ancora più incredibile e gratuita dell’amore, perché la somiglianza con Dio capace di comunione è la radice della capacità del dono di sé; e in Dio “sorgente di carità” si pone l’unica possibilità di scoprire la verità di sé, nella similitudine con la comunione trinitaria.

La persona umana, dunque, creata a immagine e somiglianza di Dio non sarà mai se stesso né potrà comprendersi pienamente fino a che non sperimenterà e vivrà nel “sincero dono di sé”40. Nasce da questa affermazione il fondamento e la verità dell’antropologia teologica: “La similitudine tra Dio e l’uomo, è basata sull’essere persona”. Questo asserto non si fonda tanto sulla similitudine con la dimensione naturale e spirituale dell’uomo, quanto “in ragione del rapporto o relazione che unisce le persone” 41.
Per Gaudium et Spes la similitudine è tra “l’unione delle Persone divine e l’unione dei Figli di Dio nella verità e nella carità”; “si tratta dunque – conclude Wojtyla – della dimensione trinitaria della fondamentale verità sull’uomo”, creato con la “capacità” “di comunità con altre persone” 42.





- Il dono di sé è iscritto nel linguaggio del corpo e comprende la totalità dell’essere uomo e donna


La sua analisi prosegue in profondità e bellezza, per dare fondamento alla dimensione ontologica della famiglia: l’uomo, in quanto capace del dono di sé, come persona, è capace di donarsi, e questo atto è basato su questa capacità umana e personale su cui si basa la struttura della famiglia. “L’uomo è capace di tale dono perché è persona” 43, e “in quanto persona è capace di comunità con gli altri, comunità intesa come communio” 44. Di conseguenza, “l’analisi teologica della famiglia” parte da essa come “realtà comunionale”, e non solo come realtà “sociale” 45.
Ossia, la prima forma di comunione, donata da Dio al momento della creazione (GS 12), assume un significato particolare, anche in riferimento a quanto detto subito dopo, “così l’uomo e la donna, che per il patto coniugale «ormai non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l’intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la raggiungono” (GS 48). Proprio nel donarsi reciprocamente l’uno all’altra, si realizza questa “unità intima e personale” dei coniugi. Questa è una “dimensione particolare dell’amore”, che il Papa formula come “amore sponsale” 46 anche nelle Catechesi sull’amore umano. Ed è un dono che corrisponde pienamente alla dignità della persona e, nel “modo proprio all’alleanza coniugale”, è reso possibile “dalla diversità del loro corpo e del loro sesso, e contemporaneamente dall’unione in questa diversità e attraverso questa” 47. A questi atti è legata anche la conseguente dimensione nuova della paternità e maternità 48.

Dunque questa unità non è data solo dalla realtà sociale, dal vivere o agire in comune, ma è una unità particolare resa possibile dal fatto che l’uomo e la donna, creati come uomo e donna dal Creatore, per costituire questa unità, la realizzano come communio, con un concetto di unità che rimanda all’Eucaristia e alla comunione tra Cristo e i discepoli e tra Dio e l’uomo 49.
È la stessa via dell’Incarnazione, scrive ancora Wojtyla, che rende possibile applicare “la stessa categoria di communio, sulla base dell’analogia”, a differenti strutture e rapporti. E se la dimensione umana è la prima ad illuminare l’Eucaristia, come communio tra Dio e l’uomo 50, è l’Eucaristia che spiega l’unione coniugale “come sua fonte” in quanto “ripresenta l’alleanza d’amore di Cristo con la Chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua croce (Gv 19,34)” (FC 57). L’Eucaristia è “sorgente di carità” e in essa, quale “sacrificio della nuova ed eterna alleanza”, come da una “radice”, “scaturisce” l’“alleanza coniugale”, che ne è “interiormente plasmata e continuamente vivificata” (FC 57).





- La redenzione dell’amore umano e la sua realizzazione nell’amore divino


Il “linguaggio del corpo” dunque esprime “la vera unione delle persone e non solo dei corpi”, che non è solo “un rapporto sessuale” ma “una reale unione delle persone in cui i coniugi diventano mutuamente dono, mutuamente si danno e mutuamente si ricevono” 51.
Nel corpo, scrive Wojtyla, “è iscritto” “fin dall’inizio” il “mutuo dono di sé”, come “espressione della diversità non solo sessuale, ma globale e quindi della persona”. “Questa struttura – aggiunge – dal peccato originale non è stata distrutta nella sua sostanza, ma solo scossa” 52. Dunque, la bontà della creazione del corpo e della sessualità, nella quale è iscritto l’essere comunionale, come capacità del dono di sé, della persona come uomo e come donna, rivela il disegno della Creazione della coppia umana chiamata a partecipare alla comunione trinitaria, come dono di grazia già iscritto nel corpo umano.
Quando il Papa, allora, nelle Catechesi, definisce il linguaggio del corpo come sacramentale 53, perché il corpo stesso è sacramento dell’amore 54, apre la dimensione della sessualità non solo ad una positività piena e vissuta ma alla possibilità di essere capacità comunicativa dell’Amore di Dio, che passa attraverso la comunione umana, la redime e la conduce alla pienezza dell’amore divino 55.

La stessa etica cristiana, dunque, per Wojtyla, affonda le radici nell’antropologia teologica 56. Se il fondamento dell’agire umano è la sua corrispondenza al Bene, e non è tale se manca questa apertura corrispondente al divino e al fondamento della dignità umana, l’amore sarà vero anche come atto umano, se Dio che ha già partecipato all’uomo la capacità di dono e di amore impressa nel linguaggio sponsale del corpo partecipa anche il dono del suo amore, perché realizzi questa comunione a immagine e somiglianza della comunione divina.
L’amore perciò “esprime in sé una realtà umana e divina” insieme, ed è degno della dignità della persona in quanto esprime il mutuo dono di sé “da persona a persona”, abbracciando tutto “il suo bene” (come GS 49), “tutto l’essere umano e il suo destino” 57. È quanto afferma nella FC 11 lo stesso Giovanni Paolo II: “Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (Gn 1,26s.): chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso tempo all’amore. Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione (cfr. GS 12). L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano. In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l’uomo è chiamato all’amore in questa sua totalità unificata. L’amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell’amore spirituale” (FC 11).

Dunque gli sviluppi successivi al Concilio circa la persona umana e la sua concettualizzazione in antropologia danno ampiamente ragione del carattere profetico dell’orientamento conciliare. Scrive il card. Ouellet che lui stesso ha approfondito “la dottrina dell’immagine di Dio in prospettiva trinitaria” 58 , superando le resistenze dovute alle posizioni di San Tommaso e Sant’Agostino, mentre si sa come sia stata ampiamente riconosciuta “l’analogia tra la Trinità e la famiglia” dall’“odierno pensiero personalista”; ripresa da Giovanni Paolo II, afferma Ouellet, essa riconosce che “l’uomo e la donna costituiscono una «unità duale» orientata sin dall’origine verso un fecondo dono di sé degli sposi, dono di sé chiamato a crescere verso una sempre maggiore “somiglianza”, in una specifica communio personarum di cui le relazioni trinitarie sono il supremo archetipo”59 .





- L’antropologia cristiana: nell’«unità duale» dell’uomo-donna l’imago trinitaria


La persona è dunque un essere in relazione, e la Bibbia presenta l’uomo e la donna come l’unica creatura nella intera creazione ad essere “creata per se stessa”, capace di autodeterminarsi e di scegliere liberamente. In questo essa si scopre capace di donarsi, di aprirsi ed “affidarsi” ad un altro e di trovare nell’“abbandono” e in questa appartenenza totale la via per il proprio compimento 60.
La capacità del “dono di sé”, nasconde l’impronta della creazione dell’uomo-donna: nel loro essere creati con la corporalità è posta l’immagine di Dio che è amore. Anche attraverso la sessualità si esprime la relazione ed è la dimensione sessuale, iscritta nel corpo umano, a consentire il “dono di sé”. Lo stesso linguaggio sponsale del corpo, sacramento dell’amore, ci apre alla comprensione della persona e della sua realizzazione. “Il corpo umano”, proprio perché contrassegnato dalla mascolinità e dalla femminilità, «racchiude fin “dal principio” l’attributo sponsale, cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona [...] [si attua come] dono e – mediante questo dono – [...] [compie] il senso stesso del suo essere ed esistere»” 61.

È “questa capacità di amare”, espressa “nel carattere sponsale del corpo”, il “riflesso e immagine del Dio Amore” 62. Proprio il corpo “«è chiamato, nel mistero stesso della creazione, ad esistere nella comunione delle persone, ‘ad immagine di Dio’» 63. Nell’“esistere reciprocamente l’uno per l’altro” l’uomo e la donna esprimono un “aspetto fondamentale della somiglianza con la Santa Trinità le cui persone [...] rivelano di essere in comunione di amore, le une per le altre”64 . È nell’essere per, dunque, nella dimensione del dono, ripresa da GS, che si rivela “la dimensione trinitaria della fondamentale verità sull’uomo”, espressa proprio nella “capacità” “di comunità con altre persone” 65.
La vera dimensione della communio personarum è la sua somiglianza con la comunione delle Persone divine (GS 24). “Quando Gesù prega il padre che “tutti” siano una cosa sola... così come noi siamo una cosa sola (Gv 17,21-22), aprendo alla ragione umana prospettive inaccessibili, ci fa conoscere una certa somiglianza tra l’unità delle persone divine e l’unità dei figli di Dio uniti nella verità e nell’amore” 66. In questo parallelo, tra l’unità delle Persone divine e l’unità dei cristiani, si rivela la misura dell’amore umano, la similitudine con la comunione divina. “La trascendenza della persona”, come apertura e tensione al compimento di sé ha come misura addirittura l’inaccessibile, aperto a noi dalle parole di Gesù, che richiama all’unità secondo l’immagine dei figli di Dio” (GS 24).
Questo è il cuore dell’antropologia teologica. “La dimensione antropologica della sessualità” risulta pertanto “inseparabile da quella teologica” 67.
Da una parte vediamo allora che l’analogia dell’amore illumina il mistero dell’amore trinitario, in quanto “tocca la natura stessa della relazione che Dio stabilisce con il suo popolo”68; dall’altra, l’amore di Dio è “la misura dell’amore umano”, e l’esperienza stessa dell’amore è comprensibile solo guardando all’amore divino delle Persone Trinitarie partecipato nell’amore di Cristo e della Chiesa.





- L’antropologia teologica a confronto con le sfide del gender


La sessualità è una «componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’amore umano” 69. Non si può quindi staccare il dato fisico-biologico dalla totalità della persona, né la sessualità dall’unità profonda di anima, corpo e spirito.
I Gender studies separano invece le varie dimensioni che costituiscono la persona umana, in particolare il dato fisico, biologico, sessuale, psicologico, oltre che quello spirituale, sostenendo che l’identificazione con l’essere uomo o donna è frutto di una scelta personale che non dovrebbe essere influenzata da stereotipi culturali ed educativi. Si pone una distinzione tra il gender e il sex della persona, per cui la scelta dell’orientamento sessuale risulta dalla «percezione soggettiva» di essere uomo e donna, «indipendentemente dal sesso anatomico».

Una grande confusione accompagna questa teoria, vista erroneamente a volte come educazione sessuale da proporre nelle scuole per evitare le discriminazioni di genere, o una presa di posizione in difesa della parità di genere tra uomo e donna, o per altri a favore dell’omosessualità. La teoria del gender, in se stessa, va oltre tutto questo 70. È invece un’idea per cui uno è uomo o donna, maschio o femmina, non in base a come è strutturato anatomicamente e biologicamente, ma in base a quello che sente di essere in quel momento, cambiando identità anche più volte, a suo piacimento.
Dinanzi a questa diffusione culturale è urgente riproporre un messaggio chiaro ed educativo sulla sessualità, sull’amore e sull’importanza della famiglia come “comunione di persone” (FC 15). Innanzitutto, la sessualità “mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale” (FC 11).
Nel corpo, scrive Wojtyla, “è iscritto” “fin dall’inizio” il “mutuo dono di sé”, come “espressione della diversità” “della persona”, diversità che non è “solo sessuale, ma globale” 71.
In secondo luogo, l’unità coniugale, donata da Dio al momento della creazione (GS 12), non è data solo dal vivere o agire in comune, ma è una unità particolare, resa possibile dal fatto che l’uomo e la donna, “prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l’intima unione delle persone e delle attività”, “per il patto coniugale «ormai non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6)” (GS 48).
In tal modo “sperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la raggiungono” (GS 48). Ciò che realizza questa “unità intima e personale”, tesa all’essere una sola carne, è il dono mutuo e sincero dei coniugi, un dono che corrisponde pienamente alla dignità della persona ed è reso possibile, nel “modo proprio all’alleanza coniugale”, “dalla diversità del loro corpo e del loro sesso, e contemporaneamente dall’unione in questa diversità e attraverso questa” 72. L’uomo e la donna sono creati con questa “diversità”, per potersi “mutuamente far dono” “della ricchezza specifica della loro umanità” 73.





- In cammino nella storia: dalla ferita alla guarigione nella redenzione del corpo


“Questa struttura” che rende la persona capace del dono di sé, tuttavia è “ferita”, disorientata dal peccato originale che porta una divisione all’interno della persona, nel rapporto tra l’uomo e la donna e tra la coppia e Dio.
Uno sguardo realista sulla condizione attuale dell’uomo e della donna, mostra questo disorientamento nella difficoltà a comprendere il significato e il valore del corpo e della sessualità. Il cammino dell’amore è reso difficoltoso dal peso delle ferite che ogni storia personale si porta dietro. In certo modo l’uomo e la donna, allontanandosi dal disegno d’amore di Dio, non trovano ciò che può portare a compimento il loro amore. Mancano della chiave per accedere alla comprensione di ciò che li costituisce profondamente nella propria capacità di amare ad immagine e somiglianza di Dio. L’uomo, “si trova ... in uno stato di caduta: in statu naturae lapsae” ma “contemporaneamente in statu naturae redemptae: in stato di redenzione”. Esiste un luogo sacramentale dove l’uomo e la donna possono reimparare la grammatica e il linguaggio dell’amore 74. Il sacramento del matrimonio è questo luogo di redenzione e di ricreazione per tutta la persona, dove anche il corpo viene rinnovato e reso capace del dono di sé per amore 75.

Il dono di Dio partecipato sin dalla creazione rimane e “l’uomo e la donna” sono ora come coppia inseriti “nella nuova ed eterna alleanza, nell’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa”. Questo fa sì che “l’intima comunità di vita e di amore coniugale... viene elevata e assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta e arricchita dalla sua forza redentrice” (FC 13). E attraverso la grazia, in Cristo, l’amore è ora redento, rinnovato, partecipe dell’amore di Cristo per la Chiesa 76. Anche il corpo può partecipare di questa redenzione che si realizzerà pienamente con la resurrezione 77. La comunità familiare diviene allora il luogo dove Cristo opera la redenzione dell’uomo e “in virtù del dono dello Spirito”, “tutto l’uomo viene interiormente rifatto fino al traguardo della «redenzione del corpo»” (cita GS 22) 78.

Tuttavia Wojtyla non solo ha aperto la dimensione della sessualità ad una positività piena e vissuta ma ha affermato la possibilità che il corpo comunichi l’Amore di Dio, perché passando attraverso la comunione umana, la redima e la conduca alla pienezza dell’amore divino. L’amore umano dunque sarà pienezza di amore partecipando del dono dell’amore di Dio, così che può realizzarsi questa similitudine tra la comunione umana e la comunione divina 79. “Inseriti nel mistero pasquale e resi segni viventi dell’amore del Cristo e della Chiesa, gli sposi cristiani sono rinnovati nel loro cuore e [...] diventano capaci di liberarsi dal peccato e di conoscere la gioia del dono reciproco” 80.
Questo rende loro possibile “di adempiere la legge nuova dell’amore”, il dono dello Spirito 81, perché “lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo” li ha amati. L’amore coniugale raggiunge [allora] quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale” (FC 13).
È lo stesso Spirito che partecipato agli sposi educa l’amore coniugale che “il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare [...] con uno speciale dono di grazia e carità” (GS 49; FC 56); e questo stesso “amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, provato da sentimenti di tenerezza e da opere, e pervade tutta la vita dei coniugi” 82.
La famiglia diventa così “la culla della Chiesa” e nel dare nuova luce al volto antropologico della Chiesa, come Chiesa domestica 83, rivela il volto della comunione che risplende nella umanità redenta dei cristiani.





- La vera sfida: ridire al mondo la bellezza del corpo e della sessualità come imago divina


Questo strutturarsi del rapporto della famiglia con la Chiesa ha ancora oggi un carattere importante e in evoluzione. Gli sviluppi successivi al Concilio circa la persona umana danno ampiamente ragione del carattere profetico dell’orientamento conciliare.
Anche il successivo approfondimento della “dottrina dell’immagine di Dio in prospettiva trinitaria” 84 trova un suo sviluppo nel ministero di Giovanni Paolo II, nella Mulieris Dignitatem e nella Lettera alle famiglie, proponendo una specifica visione della “communio personarum di cui le relazioni trinitarie sono il supremo archetipo” 85. Gaudium et Spes è stata profetica: la sua visione cresce con l’uomo, attraverso il meglio dell’uomo e verso la pienezza dell’Uomo che è Cristo. È la via mostrataci dai Papi del dopo Concilio; in modo speciale Giovanni Paolo II ha indicato la via dell’amore personale (o la via della persona nell’amore) come la via del futuro e della evangelizzazione.

L’uomo attende di essere completato proprio nell’esperienza e nella coscienza del suo essere amore e la Chiesa lo può sostenere e guidare verso la autentica dimensione dell’amore. La vera sfida di oggi, non è solo superare il disorientamento di fronte ai gender studies, ma occorre iscoprire pienamente nella luce positiva dell’esperienza cristiana, capace di farsi testimonianza esistenziale e teologica, il valore della sessualità, del corpo, dell’amore. In primo luogo partendo da uno sguardo realista sulla condizione odierna della famiglia; sul disorientamento dell’uomo e della donna quando, pur aprendosi con speranza al cammino dell’amore, devono riconoscere i propri fallimenti, sanare gli sbagli e le ferite che ogni storia personale si porta dietro. Dallo status naturae creatae, dalla bellezza originaria della creazione, viviamo nello status naturae lapsae cioè portiamo ancora la ferita del peccato originale, ma siamo già nello status naturae redemptae: Cristo ci ha redenti con la sua morte. Questi passaggi implicano un cammino, una storia, una crescita, una evoluzione, una purificazione di tutta l’umanità che può entrare pienamente ma gradualmente nella vita divina. Ed ogni passaggio di conversione e santificazione esige un accompagnamento, una guida. Occorre in particolare “una sintesi teologica”, una “specifica [...] teologia del corpo, per una corretta e adeguata interpretazione di quel fatto fondamentale che è il fatto della comunità coniugale, cioè quella particolare communio personarum che ultimamente è formata dal Sacramento del Matrimonio” 86.

Il matrimonio è il luogo Sacramentale dove l’uomo è la donna possono reimparare, nella grazia di Cristo a declinare nuovamente il linguaggio dell’amore. La comunità familiare è il luogo di redenzione e di ricreazione per tutta la persona, dove anche il corpo viene reso ora capace di rinnovarsi nel dono di sé per amore. La «redenzione del corpo» è “già partecipata agli uomini che vivono su questa terra: essa costituisce una realtà non solo escatologica, ma anche storica. Forma la storia della salvezza degli uomini concreti, vivi e in modo particolare di quelli che nel Sacramento del Matrimonio sono chiamati a diventare come coniugi e genitori «una sola carne» (Gn 2,24) secondo la disposizione dello stesso Creatore [...] ancor prima della [...] caduta” dei progenitori 87. Occorre una “teologia del corpo”, che riaffermi la bellezza e il valore positivo della sessualità, della specifica identità maschile e femminile, che comprenda e accompagni il cammino della famiglia. “In questa prospettiva”, Benedetto XVI auspicava che “gli Stati” possano “varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società, facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale” 88.





- Conclusione


Questa è la sfida a cui l’antropologia cristiana deve rispondere oggi, il terreno autentico del dialogo e del confronto tra la Chiesa e il mondo, che Gaudium et Spes poneva al cuore della propria intenzionalità. La teoria del gender mostra questa perdita della dimensione della soggettività della persona, ma soprattutto evidenzia un uomo in balia della società, a discapito di un vero progresso ed un arricchimento corrispondente ed adeguato alla verità e alla dignità della persona umana.
In un passaggio storico così delicato come quello odierno, se da una parte aumenta la conoscenza del bene e dell’uomo secondo la fede, parallelamente ad essa si sviluppa anche il male (come nella parabola del grano e della zizzania). Se risulta accresciuta la possibilità di riscoprire la soggettività dell’uomo e il suo valore più intimo, l’affettività, la dinamica dell’amore, la sua sessualità e corporeità, d’altra parte il suo essere coppia e famiglia e la dimensione generativa per prima sono state pesantemente manipolate e rivolte contro l’uomo stesso.
Soprattutto nel campo generativo, biomedico e scientifico, sembra si voglia ridurre l’uomo a soggetto separato dal suo essere persona, quasi un drone, un robot biologico. Se di recente si sta cercando di rubare all’uomo la sessualità, l’identificazione della persona in uomo e donna, che è sorgente del suo essere dialogico, in relazione ad un altro, nello stesso tempo si vuole eliminare o oscurare l’archetipo dell’amore (la coppia uomo/donna) nell’appiattimento indifferenziato di ogni coppia e di ogni amore.

Questo è un tentativo culturale che passa per una educazione nella fattispecie violenta, perché cerca di destrutturare i bambini per strutturarli in tal modo. E si fa passare tutto questo, servendosi dei procedimenti giuridici e della leggi, giustificandola come difesa dalla violenza sui più deboli, appropriandosi del mondo dell’educazione. Accanto a questo, si pensi all’invenzione della intelligenza artificiale, dove il desiderio di conoscenza si esaurisce nella ricerca del possesso (scientificamente parziale) delle sorgenti della vita: pensiamo all’ingegneria genetica, al tentativo di originare la vita fuori e oltre il contesto umano (e personale) dell’amore. Il rischio (è da tenerne conto) è il tentativo di creare una società di robot biologici, individui privi di personalità piena e libera, una società alla fine facilmente manipolabile, che dimenticando la persona volge tutto a discapito della sua felicità, perché in tutto è contraria all’uomo e alla sua dignità. Quando si unissero in una organicità sociale gender, ingegneria genetica e robotica, l’amore sarebbe spento sulla terra. Ma fino a quando due si ameranno veramente, sarà viva nel mondo l’immagine di Dio nella carne umana chiamata all’Unione di amore (e alle nozze) con Lui. La famiglia dunque ha il duplice compito di richiamarci alla radice del nostro essere, come persone in relazione, e nello stesso tempo all’unione con Dio. In queste nozze escatologiche, di unità piena con il Signore, senza separazione ma senza confusione, si potrà colmare il desiderio di felicità del cuore umano, fatto per amare con la misura inaccessibile dell’amore che è la Trinità 89.



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1 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, in A. REALE – T. STYCZEŃ, Karol Wojtyla. Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, Bompiani, Milano 2003, p. 1463.

2 Cfr. ivi, pp. 1463-4.

3 Cfr. ivi, p. 1464.

4 “La nostra felicità consiste nel possesso e nell’amore di Dio sposo delle anime”, scriveva ROSMINI nella Lettera 1192. Si veda anche A. ROSMINI, Le cinque piaghe della Santa Chiesa, Ed. Rosminiane, Stresa 2012; ID., Rosmini e Newman Padri Conciliari. Tradizionalismo, riformismo, pluralismo nel Concilio Vaticano II, Ed. Rosminiane, Stresa 2014; ID., Uomini, animali o macchine. Scienze, filosofia e teologia per un “nuovo umanesimo”, Ed. Rosminiane, Stresa 2015.

5 Cfr. M. BUBER, Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Torino 2004.

6 Cfr. S. DE RUGGIERO, “Embrione: uno di noi?”, Pontificia Università Salesiana; E. SGRECCIA, Manuale di bioetica, vol. I. Fondamenti ed etica biomedica, Vita e Pensiero, Milano 1999, pp. 440-444. L’unicità della persona, dunque, appare già come una “novità” di vita, ma in qualche modo mostra il suo essere determinata anche dal rapporto con l’ambiente esterno e dalla relazione stretta con i genitori e il loro stesso vissuto. È perciò importante che la nuova creatura sia profondamente amata sin dai primi istanti del concepimento.

7 “L’amore è la dunamiç (energia) con cui ciascuno arricchisce e fa «crescere» se stesso, assimilando in sé l’altro. In che modo? Dando se stesso. L’uomo riceve nella misura in cui si dà e quando nell’amore si dà completamente, riceve ancora se stesso fondato, rinfrancato, approfondito nell’altro, cioè raddoppia il proprio essere”. P. A. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verità, San Paolo, Torino 2010, pp. 232-233.

8 K. WOJTYLA, “La persona: soggetto e comunità”, in A. REALE – T. STYCZEŃ, Karol Wojtyla. Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, Bompiani, Milano 2003, p. 1334.

9 Ciò accade primariamente nell’esperienza dell’amore: “L’amore vero mi fa credere nelle mie proprie forze morali. Anche se sono «cattivo», l’amore vero, a mano a mano che si desta in me, mi obbliga a cercare il bene vero per la persona alla quale è rivolto”. K. WOJTYLA, Amore e responsabilità, Marietti, Casale Monferrato 1980, p. 99.

10 Ibidem.

11 “È l’aspetto divino dell’amore. Infatti, quando un uomo vuole per un altro il bene infinito, vuole per lui Dio, perché Lui solo è la pienezza oggettiva del bene e Lui solo può colmarne l’uomo”. Ibidem.

12 K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1467.

13 Ivi, p. 1470.

14 Cfr. K. WOJTYLA, “La persona: soggetto e comunità”, op. cit., p. 1369.

15 Cfr. anche ivi, p. 1369; 1382.

16 Cfr. Mulieris dignitatem 7.

17 Cfr. K. WOJTYLA, Amore e responsabilità, op. cit., p. 30. Il comandamento dell’amore, infatti, “è: «Ama la persona», mentre [“la formula esatta della norma personalistica”] dice: «La persona è un bene nei confronti del quale solo l’amore costituisce l’atteggiamento adatto e valido»”. Ivi, p. 30.

18 Cfr. Mulieris dignitatem 23.

19 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1473.

20 È sempre FLORENSKIJ che vede nell’immagine e somiglianza con Dio i “talenti”, ossia “il capitale” creativo e spirituale della persona umana, che si può far crescere, addirittura raddoppiare, oppure spegnere e ridurre, nella propria presunta autonomia, chiudendosi nel “per sé”, ad idolo, un “guscio” “senza carne” e “senza sostanzialità” di povere, vuote, imagines. Cfr. P. A. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verità, op. cit., pp. 232-236.

21 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, LEV-Città Nuova, Roma 1995, pp. 90-92.

22 Cfr. ivi, pp. 74-80.

23 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1476.

24 Cfr. ivi, pp. 1464-1465.

25 Cfr. K. WOJTYLA, “La persona: soggetto e comunità”, op. cit., p. 1339.

26 Ibidem.

27 Cfr. ivi, p. 1374.

28 Cfr. ivi, p. 1374, nt. 20.

29 Cfr. Mulieris dignitatem 7.

30 Cfr. J.-N.D. KELLY, “La dottrina della Trinità”, in Il pensiero cristiano delle origini, EDB, Bologna 1999, pp. 309-341.

31 “Essere persona ad immagine e somiglianza di Dio comporta [...] un esistere in relazione, in rapporto all’altro «io». [...] Significa anche che l’uomo e la donna, creati come «unità dei due» nella comune umanità, sono chiamati a vivere una comunione d’amore e in tal modo a rispecchiare nel mondo la comunione d’amore che è in Dio, per la quale le tre Persone si amano nell’intimo mistero dell’unica vita divina. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, un solo Dio per l’unità della divinità, esistono come persone per le imperscrutabili relazioni divine. Solamente in questo modo diventa comprensibile la verità che Dio in se stesso è amore (cfr. 1Gv 4,16) ”. Mulieris dignitatem 7.

32 “Il mio stesso amore è azione di Dio in me, e mia in Dio. (85) Amare il Dio invisibile significa aprire passivamente il cuore davanti a Lui e attendere l’attiva rivelazione di Lui, in modo che nel cuore scenda l’energia dell’amore divino [...]. Invece, amare la creatura visibile significa permettere all’energia divina ricevuta di espandersi, attraverso chi l’accoglie, all’esterno, attorno a chi l’accoglie, così come questa energia agisce nella Divinità triipostatica, sì che essa passa all’altro, al fratello. L’amore per il fratello è assolutamente impossibile agli sforzi puramente umani, è opera della forza divina. Quando amiamo, amiamo da Dio e in Dio. Solo chi conosce il Dio Uno e Trino può amare di vero amore. Se non ho conosciuto Dio e non mi sono comunicato alla Sua sostanza, io non amo [...]. (94) Colui «che non ha la vita eterna», cioè che non è penetrato nella vita della Trinità, non può nemmeno amare, perché l’amore per il fratello è una specie di manifestazione, quasi una emanazione della forza Divina irradiante da Dio che ama. (95-96)” Cfr. P. A. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verità, op. cit., pp. 85; 94-96.

33 “Ho avuto allora la sensazione che Lui non solo stesse sondando i nostri cuori ma che cercasse anche di versarvi dentro qualcosa. Ci siamo trovati al livello del Suo sguardo, anzi, al livello della Sua vita. La nostra intera esistenza stava davanti a Lui. Il Suo sguardo ci comunicava dei segni ma in quel momento non eravamo in grado di percepirli in tutta la loro pienezza come accadde con quelle voci, quella notte in montagna – però quei segni riuscirono a penetrare fino nel fondo dei nostri cuori. E non so come – ma ci siamo messi in cammino nella direzione indicataci perché questo filo è diventato l’ordito di tutta la nostra vita”, cfr. K. WOJTYLA, La bottega dell’Orefice, in A. REALE (ed.), Karol Wojtyla. Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2001, p. 799.

34 Cfr. K. WOJTYLA, “La persona: soggetto e comunità”, op. cit., pp. 1382-1383.

35 Cfr. ivi, p. 1380

36 Cfr. ivi, p. 1374.

37 Cfr. M. OUELLET, Divina somiglianza. Antropologia trinitaria della famiglia, LUP, Città del Vaticano 2004.

38 Cfr. K. WOJTYLA, “La persona: soggetto e comunità”, op. cit., pp. 1352-1353.

39 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1464ss.

40 Cfr. ivi, p. 1465.

41 Cfr. ivi, pp. 1466-1467.

42 Cfr. ivi, p. 1467.

43 Ibidem.

44 Cfr. ivi, p. 1468.

45 Ibidem.

46 Cfr. ivi, p. 1473.

47 Cfr. ivi, p. 1475.

48 “Nell’ordine umano, il generare è proprio dell’«unità dei due»: ambedue sono «genitori», sia l’uomo sia la donna”; ma anche ogni «paternità» e «maternità» “porta in sé la somiglianza, ossia «l’analogia» col generare divino”, “quel generare che è in Dio in modo completamente divino, cioè spirituale”. Cfr. Mulieris dignitatem 8.



49 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1469.

50 Ibidem.

51 Cfr. ivi, p. 1476.

52 Cfr. ivi, pp. 1476-1477.

53 Sul corpo come “sacramento” e il “linguaggio del corpo” si veda in GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, op. cit., pp. 90-92; si veda anche la bellissima analisi del Cantico dei Cantici nel Quinto ciclo delle stesse Catechesi, in ivi, pp. 411-443.

54 È il significato sponsale del corpo, chiamato ad esprimere la verità originaria della mascolinità e della femminilità nel “l’esistere in reciproco «per», in una relazione di reciproco dono”; in tal modo il corpo è “testimone della creazione come di un dono fondamentale, quindi testimone dell’Amore come sorgente, da cui è nato questo stesso donare”, GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, op. cit., pp. 74-75.

55 “La dimensione della liturgia assume in sé il «linguaggio del corpo», riletto nella verità dei cuori umani [...]” e proprio in base a questo, “nel parlare reciprocamente col «linguaggio del corpo»” gli sposi “trasformano quel «linguaggio» in una voce sola. Quell’unisono è la preghiera”. Possono così “varcare la situazione del limite”, “aprendosi totalmente, nell’unità di due, al Dio vivo”. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, op. cit., p. 439.

56 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1465.

57 Cfr. K. WOJTYLA, La bottega dell’Orefice, op. cit., p. 811.

58 M. OUELLET, La vocazione cristiana al matrimonio e alla famiglia ..., op. cit., p. 22.

59 Ibidem.

60 Cfr. K. WOJTYŁA, “La persona: soggetto e comunità”, op cit., p. 1369. Le parole del Cantico dei Cantici esprimono il “reciproco appartenersi” e mostrano “la profondità di quell’affidamento, che corrisponde alla verità interiore della persona”. “Mediante tale verità e libertà si costruisce l’amore che diviene così amore autentico”. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, op. cit., pp. 422-3.

61 GIOVANNI PAOLO II, Catechesi del 16/1/1980, “L’uomo persona diventa dono nella libertà dell’amore”, cit. in CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 6.

62 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica..., op. cit., 8.

63 Ivi, 6.

64 Ibidem.

65 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1467.

66 Cfr. K. WOJTYLA, “La persona: soggetto e comunità”, op. cit., p. 1374, nt. 20.

67 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica..., 8.

68 Ivi, 9.

69 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale, 4.

70 Si veda L. MELINA, “Il significato personalistico della sessualità umana e le sfide dell’ideologia antipersonalista”, in ID., Per una cultura della famiglia: il linguaggio dell’amore, Marcianum, Venezia 2006, p. 80.

71 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1476.

72 Cfr. ivi, p. 1475.

73 Cfr. ivi, p. 1476.

74 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, op. cit., pp. 424-427.

75 Si veda il Quinto ciclo delle Catechesi, in GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, op. cit., in particolare pp. 393ss.

76 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1477.

77 Ibidem.

78 Ibidem.

79 L’amore umano è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica”. BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, 39.

80 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica..., 11.

81 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1477.

82 Cfr. PIO XI, Casti connubii AAS 22 (1930) cit. in GS 49.

83 Cfr. Lumen gentium 11, cit. in Sacramentum caritatis 27.

84 M. OUELLET, La vocazione cristiana al matrimonio e alla famiglia..., op. cit., p. 22.

85 Ibidem.

86 Cfr. K. WOJTYLA, “La famiglia come «communio personarum»”, op. cit., p. 1477.

87 Ibidem.

88 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 44.

89 “La felicità è il radicarsi nell’Amore”. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, op. cit., p. 81.



Si ringrazia:
Dott.ssa Laura Consoli - Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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