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La “questione copernicana” e il “caso Galilei”









Il 24 maggio 1543, esattamente 470 anni fa, veniva pubblicata a Norimberga, nello stesso giorno in cui l’autore moriva, il “De revolutionibus orbium coelestium” di Niccolò Copernico. Il contenuto dell’opera aprirà in Europa un importante dibattito sia dal punto di vista scientifico che teologico che porterà il 22 giugno 1633 alla condanna di Galileo Galilei. Per ripercorrere e comprendere cosa è accaduto in questo fondamentale passaggio per la civiltà abbiamo deciso di analizzare e contestualizzare la lettera che Galileo Galilei scrisse al suo discepolo Benedetto Castelli.


La lettera di Galileo Galilei a Benedetto Castelli è la prima di una serie di 4 lettere che la storiografica conosce come “lettere copernicane”. Lo scienziato pisano la inviò al suo allievo e monaco benedettino il 21 dicembre 1613. Essa si inserisce in modo significativo nel dibattito scientifico e culturale del XVII secolo e segna un punto di svolta nel rapporto fra le discipline scientifiche e quelle teologiche e in modo più particolare fra i risultati della scienza sperimentale e le verità contenute nella Sacra Scrittura.











Contesto storico generale
La genesi di due opposte cosmologie



Per comprendere a fondo l’importanza del documento che analizzeremo è necessario ripercorrere brevemente l’origine e lo sviluppo delle principali teorie cosmologiche del passato.


La teoria eliocentrica afferma che il sole sta al centro dell’universo e gli altri pianeti gli ruotano attorno. Questa visione cosmologica fu esposta per la prima volta dal filosofo naturalista Aristarco di Samo nel III secolo a.C.


Nel II secolo d.C. tale teoria venne respinta dall’astronomo egiziano di cultura greca Claudio Tolomeo. Egli si espresse a favore della teoria geocentrica che poneva la terra immobile al centro dell’universo e tutti gli altri pianeti, insieme al sole, ruotare intorno alla terra descrivendo un’orbita circolare. Egli espose questa teoria nella sua celebre opera Mathematikè sýntaxis, meglio conosciuta nella sua traduzione araba col nome di Almagesto. La visione geocentrica, che dal nome di questo astronomo viene anche chiamata tolemaica, è rimasta in auge per tutta l’antichità e il medio evo.





La Chiesa e l’interpretazione delle Sacre Scritture


Fino ad ora abbiamo visto come il “mondo laico” ha concepito l’universo. Per avere un’idea precisa della peculiarità della lettera scritta da Galilei è necessario conoscere brevemente come la chiesa ha interpretato le Sacre Scritture nel corso del tempo.


Sin dalle origini la Chiesa ha letto la Sacra Scrittura in modo spirituale, esistenziale e religioso, cioè cercando in essa la verità sull’uomo e su Dio. Essa, pur mai negando il fondamento storico della Sacra Pagina, ha sempre prediletto l’aspetto spirituale e sapienziale. Tale procedimento col quale la Chiesa si è avvicinata al suo testo sacro si trova contenuto nella stessa Bibbia: se ne trovano alcuni esempio nelle lettere paoline dove l’apostolo delle genti legge in chiave allegorica e spirituale dei passi dell’Antico Testamento per spiegare le condizioni di vita dei cristiani . Tale approccio viene meglio esplicitato nel III secolo da Origene che nella sua opera Philocalia parla proprio di come le Sacre Scritture vadano interpretate in modo allegorico.


Nel medio evo si arrivano a distinguere 4 sensi della Sacra Scrittura. Si parla di senso letterale, di senso allegorico, di senso morale e di senso anagogico. Di una simile divisione parla anche Dante Alighieri nella sua opera Convivio.


Questo modo di comprendere la Sacra Scrittura viene rivoluzionato nel XVI secolo dal Riformatore Martin Lutero. L’ex monaco agostinano infatti predilige, a discapito degli altri sensi della SacraScrittura, solo quello letterale. Inoltre Lutero introduce il principio del libero esame della Sacra Scrittura: secondo il riformatore tedesco ogni fede può avvicinarsi al testo sacro senza la mediazione della Chiesa.


Le innovazioni introdotte da Martin Lutero vennero condannate durante la quarta sessione del Concilio di Trento. Il decreto dell’8 aprile 1546 sull’edizione Vulgata della Bibbia e sul modo di interpretare la Sacra Scrittura recita fra l’altro:


Inoltre, per frenare certi spiriti indocili, stabilisce che nessuno, fidandosi del proprio giudizio, nelle materie di fede e morale, che fanno parte del corpo della dottrina cristiana, deve osare distorcere la Sacra Scrittura secondo il proprio modo di pensare, contrariamente al senso che ha dato e dà la santa madre chiesa, alla quale compete giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle Sacre Scritture; né deve andare contro l’unanime senso dei padri.


Nel breve testo che abbiamo riportato emerge quale sarà lo spirito che animerà la Chiesa dopo l’assise ecumenica e che porterà alla cosiddetta questione galileiana. In primo luogo viene condannato il “soggettivismo” nell’interpretazione del testo sacro. In tale contesto si ribadisce che l’esposizione del vero senso della Sacra Scrittura spetta solo alla Chiesa. Infine viene evidenziato come l’insegnamento della Sacra Scrittura non si deve discostare da quello dei Padri della Chiesa.





Contesto storico particolare


Veniamo ora al contesto storico che precede la lettera di Galileo Galilei. Il canonico e scienziato polacco Niccolò Copernico scrisse il De revolutionibus orbium coelestium che venne pubblicato per la prima volta a Norimberga il 24 maggio 1543, giorno stesso della sua morte. Con la sua opera Copernico riprendeva l’intuizione di Aristarco di Samo e si dichiarava a favore della teoria eliocentrica. Nell’introduzione all’opera, che fu dedicata al Papa Paolo III, si rivolge al papa con una certa preoccupazione conscio della novità delle sue scoperte:


Mi è facile pensare, Santissimo Padre, prevedere che taluni, non appena avranno appreso come in questi miei libri, scritti sulle rivoluzioni delle sfere dell’universo, io attribuisca al globo terrestre certi movimenti, subito chiederanno a gran voce che, avendo tale opinione, io sia messo al bando.


Le ansie di Copernico sono più che giustificate, poiché egli rilancia una visione cosmologica caduta nell’oblio per parecchi secoli, una visione che inoltre va contro ciò che i sensi apparentemente percepiscono. Tuttavia l’opera dello scienziato polacco non verrà condannata poiché essa non parla del moto terrestre come di una certezza, ma piuttosto come una ipotesi volta a semplificare i calcoli matematici che riguardano il moto dei pianeti. Scrive infatti Thomas S. Kuhn:


Il De revolutionibus fu scritto per risolvere il problema dei pianeti che, come Copernico avvertiva, Tolomeo ed i suoi successori non avevano risolto. Nell’opera di Copernico la concezione rivoluzionaria del moto della terra costituisce inizialmente un risultatocollaterale e anomalo del tentativo effettuato da un astronomo preparato e impegnato di riformare le tecniche usate nel calcolo della posizione dei pianeti


Nel XVII secolo Galileo Galilei si fa ideale discepolo di Copernico. Il 21 agosto 1609 Galileo Galiei presenta al governo della Repubblica di Venezia il cannocchiale da lui perfezionato, questo strumento ottico infatti era stato inventato per la prima volta nel precedente anno in Olanda dall’ottico di origine tedesca Hans Lippershey.


Grazie al cannocchiale Galileo Galilei riesce a fare alcune importanti scoperte che espone nella sua opera Sidereus nuncius pubblicata il 12 marzo 1610. Fra le più importanti novità che lo scienziato pisanto intende comunicare al mondo scientifico e culturale del tempo possiamo annoverare la scoperta dei monti lunari e i satelliti di Giove che in onore dei sovrani toscani verranno chiamati “astri medicei”. Queste due scoperte mettono in crisi il sistema aristotelico-tolemaico: esso infatti affermava che tutti i pianeti del sistema solare fossero sfere perfette e che la terra fosse il centro del moto di tutti i pianeti.


La notorietà che Galilei ha ottenuto grazie alle sue scoperte fa si che il governo fiorentino lo richiami in patria: il 5 giugno 1613 infatti egli viene nominato “matematico primario dello studio di Pisa”. Egli giunge a Firenze nel settembre dello stesso anno.


È bene notare che le prime critiche gli vengono mosse da matematici laici di orientamento aristotelico come Cesare Cremonini e Giovanni Antonio Magini.


Il 14 dicembre 1613 il suo discepolo e monaco benedettino Benedetto Castelli comunica per lettera a Galilei di aver partecipato due giorni prima ad un pranzo presso i Granduchi alla presenza di Cosimo II, della moglie Maddalena d’Austria e della Granduchessa Cristina di Lorena. Una settimana dopo, in data 21 dicembre, Galilei risponde al suo discepolo dando corpo a quella che diventerà la prima delle cosiddette lettere copernicane





Analisi del testo
La struttura della lettera


Dal punto di vista della struttura, la lettera può essere divisa in quattro parti. Nella prima parte possiamo cogliere le circostanze, quelle poc’anzi esposte, che hanno indotto Galilei a scrivere al suo discepolo. Nella seconda parte, quella più interessante da un punto di vista storico e teologico, Galilei esprime le sue idee circa il rapporto fra le verità espresse nella Sacra Scrittura e le verità desunte dalla scienza. Con questa premessa ideale, nella terza parte egli spiega come la teoria eliocentrica sia più idonea rispetto a quella geocentrica per spiegare il passo della Genesi in cui Giosuè ordina al sole di fermarsi. La lettera si conclude con i saluti finali





I contenuti della lettera


Nella sua lettera Galilei ritorna su quanto Benedetto Castelli e i suoi illustri interlocutori si sono detti. Egli parte da un’affermazione fatta da Cristina di Lorena sul carattere assolutamente infallibile della Sacra Scrittura ribattendo:


Avrei solo aggiunto che, sebbene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare qualcuno dei suoi interpreti e presentatori, in vari modi: tra i quali unosarebbe gravissimo e frequentissimo, quando si volesse fermare sempre sul significato letterale delle parole, perché così vi apparirebbero non solo diverse contraddizioni, ma gravi eresie e anche bestemmie; poiché sarebbe necessario attribuire a Dio piedi, mani e occhi senza escludere gli affetti corporali e umani come l’ira, il pentimento, l’odio, e talvolta anche la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza di quelle future


Con queste parole Galilei introduce una distinzione fra la parola della Sacra Scrittura e la sua interpretazione adducendo che, se la prima è sempre infallibile, non si può dire la stessa cosa della seconda. Secondo l’illustre scienziato, gli interpreti della Bibbia possono sbagliare in più modi, ma quello più grave e ricorrente sarebbe quello di interpretare alla lettera la parola della Sacra Scrittura. È bene tornare a questo punto a quanto detto precedentemente a proposito dell’interpretazione delle Sacre Scritture. Se nell’antichità e nel medio evo era naturale interpretare la Bibbia in senso spirituale, fondandosi sul senso letterale, ma senza esserne strettamente e aridamente vincolati, in questo particolare momento storico l’aderenza al senso letterale ha una notevole importanza. Non è neppure passato un secolo da quando la riforma luterana ha scosso l’Europa e spaccato l’unità della Chiesa. Lutero e i suoi seguaci hanno attaccato la Chiesa di Roma a suon di versetti biblici accusandola di non essere conforme, nella sua vita e nelle sue istituzioni, alla Sacra Scrittura. Il Concilio di Trento si era sforzato di rispondere, anche sulla base delle Sacre Scritture, a ciò che la riforma protestante sosteneva. Se la Chiesa Cattolica avesse abbandonato la teoria geocentrica e sostenuto quella eliocentrica, i protestanti non avrebbero perso tempo a sottolineare l’ennesimo tradimento della Sacra Scrittura. Le parole di Galilei nell’antichità o nel medio evo sarebbero state pacificamente accolte, ma in questo particolare momento storico rischiano di aprire, e di fatto così è accaduto, un caso.


Come abbiamo appena detto, Galilei distingue fra parola e significato e precisa che tali semplici espressioni “sono poste così per adeguarsi all’incapacità del popolo”. Tale modo di esprimersi dello scienziato non si discosta dalla massima della scolastica che afferma “quidquid recepitur ad modum recipientis recepitur” e rivela in sordina la buona conoscenza che evidentemente Galileo Galiei ha delle strutture logiche e degli schemi mentali dei suoi contemporanei. Egli auspica che


I saggi commentatori esprimano i veri significati e indichino i particolari motivi a causa dei quali sono state pronunciate codeste parole


Le “buone intenzioni” di Galilei non verranno ben recepite dalla Chiesa del tempo e questo alla luce del clima culturale proprio della Controriforma. Come infatti abbiamo detto in precedenza, il Concilio di Trento aveva fatto divieto ai singoli di interpretare la Sacra Scrittura, per giunta, Galilei non è un ecclesiastico o un teologo ma è un laico.


Il ragionamento del Galilei prosegue enunciando la distinzione fra ambito scientifico e teologico. Scrive infatti:


... mi pare che nelle dispute sul piano naturale ella (la Sacra Scrittura) dovrebbe essere collocata alla fine: perché procedendo allo stesso modo dal verbo divino sia la sacra Scrittura che la natura,quella come espressione dello Spirito Santo e questa come esecutrice osservantissima degli ordini di Dio


Chi ha voluto successivamente fare di Galilei una vittima dell’oscurantismo cristiano trova forse in queste parole la più grande smentita. Galileo Galiei è un credente che vede Dio all’opera tanto nella Sacra Scrittura quanto nella natura. Trovandosi però la Sacra Scrittura nello stato di essere scritta per essere compresa anche dal volgo, essa non è attendibile, secondo lo scienziato pisano, per capire le leggi della natura le quali possono essere afferrate solo con l’esperienza sensibile o con certe dimostrazioni:


Pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone davanti agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci fanno concludere, non debba in alcun conto essere cancellato in caso di dubbi con passi della Sacra Scrittura.


Riprendendo quanto fino ad ora sostenuto Galilei sviluppa ora un ragionamento a fortiori: se le verità alte dei dogmi riguardanti Dio, al fine di essere compresi dagli uomini, sono esposti nella Sacra Scrittura in modo assai semplice con immagini e figure che, se prese alla lettera, addirittura potrebbero essere prese come quanto di più falso sulla natura di Dio, allora tanto più questo di deve asserire per tutto quello che nella Bibbia riguarda il mondo naturale.


Se per questo solo rispetto, di adeguarsi alla capacità di popoli rozzi e indisciplinati, non s’è astenuta la Scrittura di esprimere in modo velato i suoi principalissimi dogmi, attribuendo perfino allo stesso Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà con certezza ed energia sostenere che ella, messo da parte tale rispetto, nel parlare anche casualmente di terra o sole o d’altra creatura, abbia scelto di contenersi con tutto rigore dentro ai limitati e ristretti significati delle parole?


L’inaffidabilità della Sacra Scrittura nelle questioni che riguardano l’ambito naturale deve far sì che le sue parole non vengano impegnate a sostenere tesi che l’esperienza potrebbe rivelare false in seguito. Secondo Galilei ci si deve attenere a un principio di prudenza:


...crederei che fosse prudente non consentire ad alcuno di impegnare brani della Scrittura obbligando tali interpreti in un certo modo, a dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario


La distinzione operata da Galilei fra verità di fede e verità di natura non impoverisce affatto secondo il suo pensiero la grandezza e l’autorità delle Sacre Scritture, anzi esse ci mostrano l’unica via necessaria per la nostra salvezza che in nessuna altra parte possiamo trovare se non in esse:


Sarei dell’avviso che l’autorità delle Sacre Lettere abbia avuto il fine di convincere gli uomini con quegli articoli e preposizioni, che essendo necessarie per la loro salute e superando ogni discorso umano, farsi a noi credibili che per bocca dello Spirito Santo.


La parte teologica si conclude con un’osservazione sulla quantità dei dati scientifici contenuti nella Bibbia: Galilei osserva che se essi fossero una condizione indispensabile per la nostra salvezza, sarebbero molto più ampi i riferimenti della Scrittura al mondo naturale, essi invece sono assai esigui e limitati.





Portata storica del documento a breve termine
Le altre lettere copernicane



Esattamente un anno dopo dall’invio della lettera a Benedetto Castelli Galilei iniziò ad essere attaccato, stavolta da parte ecclesiastica: Il frate domenicano Tommaso Caccini si scaglia contro lateoria copernicana ripresa e proposta da Galilei durante una predica nella Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Il 7 febbraio 1615 un altro domenicano, Niccolò Lorini denuncia Galilei al Cardinale Paolo Camillo Sfrondati prefetto della Congregazione dell’Indice, allegando la lettera a Benedetto Castelli: un documento privato e confidenziale come può essere una lettera, diventerà il capo d’accusa per lo scienziato pisano.


Risale al 16 febbraio del 1615 la seconda lettera copernicana: Galileo Galilei la invia all’amico e referendario apostolico Pietro Dini accludendo la lettera che precedentemente aveva inviato a Benedetto Castelli. La missiva conteneva una accorata denuncia nella quale si rendeva nota al prelato una campagna diffamatoria messa in atto con la complicità di alcuni padri domenicani nei suoi confronti. Galilei raccomandò a Pietro Dini di far pressione su padre Cristoforo Grienberger, professore di matematica nel Collegio Romano, e di far giungere al card. R. Bellarmino le prove della sua ortodossia religiosa. Rinnovò per questo l’invito a rileggere la teoria copernicana, ricordando che l’autore stesso, settanta anni prima, aveva dedicato la sua opera a Paolo III.


La terza lettera copernicana fu inviata da Galilei allo stesso precedente destinatario. Lo scienziato pisano cercava in questo suo ultimo scritto di spiegare in chiave copernicana un passo del salmo 18


È in questo fitto scambio epistolare fra l’illustre scienziato e gli uomini di cultura del suo tempo che si inserisce anche un prezioso documento che ci fa ben comprendere le preoccupazioni degli uomini di chiesa di quel tempo. Stiamo parlando della lettera del Cardinale Roberto Bellarmino al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini. L’alto prelato invita il religioso carmelitano e Galilei ad accontentarsi di parlare della teoria copernicana come di una ipotesi e non come di una verità certa, come già in precedenza aveva fatto Copernico. Questo perché in assenza di una prova certa della verità della teoria eliocentrica, la Chiesa si doveva attenere, secondo quanto decretato al Concilio di Trento, al senso letterale della Sacra Scrittura e all’unanime insegnamento dei padri della Chiesa. Bellarmino non è però un fanatico ottuso e afferma:


Dico che quando ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra


Ma questa prova certa a quel tempo mancava: si dovranno aspettare due secoli per affermare con assoluta certezza il moto terrestre col pendolo di Foucault!


Nel giugno del 1615 infine Galilei si rivolge a Cristina di Lorena redigendo la quarta ed ultima lettera copernicana. In essa si legge una massima, spesso erroneamente attribuita a Galileo e proferita invece dal Cardinale Cesare Baronio:


Io direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado (il Cardinale Cesare Baronio appunto), cioè l’intenzione dello Spirito Santo essere l’insegnarci come si vadia in cielo e non come vadia il cielo





La condanna della teoria copernicana


Il 24 febbraio 1616 i teologi del Sant’Uffizio dichiarano la teoria copernicana stolta in filosofia e formalmente eretica e a seguito di ciò il Papa Urbano VIII incarica il Cardinale Bellarmino di ammonire Galilei e di invitarlo a non insegnare più tale teoria. L’alto prelato porta a compimentoquanto desiderato dal Papa il 26 febbraio. A seguito di questo irrigidimento da parte della chiesa, anche il De revolutionibus orbium coelestium viene messo all’indice il 5 marzo.





La condanna di Galilei


Ignorando il divieto impostogli dal Cardinale Bellarmino, Galilei pubblica a Firenze nel febbraio del 1632 il Dialogo sui due massimi sistemi del mondo, dove fra l’altro sostiene la veridicità del sistema copernicano fondandola erroneamente sul fenomeno delle maree.


Per aver contravvenuto al precedente divieto Galilei viene processato e condannato il 22 giugno 1633 nel convento di Santa Maria Sopra Minerva da un collegio di 10 cardinali di cui 7 si esprimono a favore della condanna e 3 contraro.


Al contrario di quanto comunemente si pensa, Galilei non pronuncia la frase “Eppure di muove”: tale frase ad effetto è stata inventata dallo scrittore Giuseppe Baretti nel 1757. Ma non è questo l’unico luogo comune sul caso Galilei. Scriveva infatti negli anni ’90 il giornalista Vittorio Messori che, stando a un’inchiesta voluta dal Consiglio d’Europa e che ha coinvolto un campione di studenti di materie scientifiche di tutta l’unione europea, il 30 % crede che Galileo Galilei sia stato condannato al rogo dalla chiesa, il 97% infine è convinto comunque che egli abbia subito torture durante il processo.


Il Tribunale del Sant’Uffizio invece lo condannò alla carcerazione che venne commutata il giorno dopo la sua condanna in un soggiorno obbligato presso l’Ambasciata Toscana a Roma. Gli fu poi concesso di trasferirsi, con l’obbligo di rimanervi, a Siena presso la residenza dell’arcivescovo Piccolomini. Dopo sei mesi il Papa Urbano VIII concesse a Galilei di tornare nella sua villa di Arcetri, vicino Firenze, dove gli fu comunque proibito di avere incontri. Galilei si spense l’8 gennaio 1641, 8 anni dopo essere stato condannato dal Sant’Uffizio.





Portata storica a lungo termine


La morte di Galilei non chiude comunque la questione galileiana, essa infatti si trascinerà per secoli in una situazione di imbarazzo per la chiesa realizzando quanto Galilei aveva in un certo senso previsto:


Avvertite, teologi, che volendo fare materia di fede le proposizioni attenendi al moto ed alla quiete del sole e della terra, vi esponete a pericolo di dover forse col tempo condannar d’eresia quelli che asserissero, la terra star ferma e muoversi di luogo il Sole: col tempo, dico, quando sensatamente o necessariamente ci fusse dimostrato, la Terra muoversi e ‘l sole star fisso [1]


Ritorna in queste parole il pensiero già espresso dallo scienziato pisano nella lettera a Benedetto Castelli che abbiamo analizzato: il fatto di impiegare le Scritture in argomenti che non sono di fede è un pericolo per la fede stessa. D’altra parte Galilei ammette in sordina di avere portato parecchie prove a favore del moto della terra e della stabilità del sole, ma non una certa e incontrovertibile che avrebbe necessariamente messo a tacere i suoi avversari.


Una prima forma di imbarazzo si riscontra subito alla morte del Galilei. Il Granduca di Toscana avrebbe voluto onorare l’illustre pisano con una tomba sontuosa e monumentale vicina a quella di Michelangelo Buonarroti, ma le pressioni del Papa sul Granduca di Toscana furono tali che Galilei ha potuto avere un mausoleo degno della sua fama solo nel 1737 [2]. Scrive lo storico Franco Cardini: “È utile ricordare che tale concessione avvenne durante il pontificato di Clemente XII, il Papa che affidò all’architetto fiorentino Alessandro Galilei, pronipote dello scienziato, la costruzione delle facciate di San Giovanni in Laterano e di San Giovanni dei Fiorentini” [3].


Quello dell’autorizzazione della tomba fu un primo segnale di disgelo nei confronti di Galileo, altri segnali si ebbero in modo lento nel corso degli anni e addirittura dei secoli successivi.


Nel 1741 il Sant’Uffizio autorizzò la prima edizione italiana delle opere di Galileo, con esclusione della lettera a Cristina di Lorena. Il curatore di tale edizione fu l’abate Giuseppe Toaldo [4].


Si deve a Benedetto XIV l’espunzione di tutti i libri che insegnano la teoria copernicana dall’indice dei libri proibiti nella edizione del 1758.


Un passo importante di ebbe nel XIX secolo con il “caso Settele”. Giuseppe Settele [5] era un canonico professore all’università “La Sapienza” di Roma e nel 1818 aveva dato alle stampe un volume intitolato “Elementi di ottica e astronomia”. Avendo richiesto di pubblicare un secondo volume nel quale si dava per verità certa l’eliocentrismo, gli venne risposto negativamente dal domenicano Filippo Anfossi, Maestro del Sacro Palazzo, poiché a suo avviso, la teoria copernicana, oltre ad andare contro la Scrittura, contro il comune insegnamento dei Padri della Chiesa, era anche stata condannata da decreti del Sant’Uffizio. Solo grazie all’aiuto del domenicano Maurizio Olivieri, commissario del Sant’Uffizio, Settele riuscì a pubblicare il secondo volume della sua opera.


Particolarmente interessante è la lettura che Maurizio Olivieri fa dell punto di vista degli inquisitori che avevano condannato la teoria copernicana prima e Galilei poi. Scrive Annibale Fantoli: “Nelle sue Riflessioni, Olivieri aveva sostenuto che la teoria originale di Copernico, accettata anche da Galileo, era del tutto insoddisfacente dal punto di vista della “filosofia naturale” del tempo. Ad esempio, l’ignoranza che l’aria avesse un peso e quindi fosse soggetta alla gravità, aveva impedito a Galileo di spiegare in modo soddisfacente l’assenza dei venti violentissimi che sarebbero dovuti risultare dai moti di rotazione e rivoluzione della Terra. Secondo Olivieri, era per questi motivi di “filosofia naturale”, più che per motivi teologici, che il Sant’Uffizio e la Congregazione dell’Indice avevano condannato il Dialogo, come la stessa teoria copernicana” [6].


L’epilogo di questa vicenda si ha nel 1822, quando il Sant’Uffizio, in data 11 settembre, emana un decreto che permette le pubblicazione di tutte le opere che trattano della mobilità della terra e della immobilità del sole.


Un velato accenno al “caso Galilei” si ha nell’enciclica Provvidentissimus Deus di Leone XIII. Scrive Papa Pecci a proposito di coloro che hanno erroneamente interpretato i passi scritturistici:


Essi nel caso della spiegazione di luoghi scritturistici che trattano questioni fisiche, si attennero alle opinioni del tempo, con il risultato che forse non sempre giudicarono con verità, affermando cose che oggi non sono più approvate


Nel XIX secolo l’imbarazzo provocato da “caso Galilei” portò la Pontificia Accademia delle Scienze a volere una pubblicazione che facesse luce sulla questione in occasione del terzo centenario della morte dello scienziato pisano. La redazione di tale opera fu affidata a mons. Pio Paschini docente e rettore del Pontificio Ateneo Lateranense. Poiché l’opera metteva in chiaro le responsabilità degli uomini di chiesa nella vicenda, il libro non fu pubblicato. Venne di nuovo alla luce nel 1964 durante la fase finale del Concilio Vaticano II in concomitanza con la redazione della Gaudium et Spes. Nella costituzione pastorale si legge:


A questo punto, ci sia permesso di deprecare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro. [7]


A queste parole viene aggiunta una nota che rimanda al testo di Paschini appena ripubblicato:


Cfr Mons. Pio Paschini, Vita e opere di Galileo Galilei, 2 vol.. Pont. Accademia delle Scienza. Città del Vaticano 1964.


L’ultima e ampia riabilitazione di Galilei è avvenuta con il Pontificato di Giovanni Paolo II. Nel 1979, parlando alla Pontificia Accademia delle Scienze, il papa polacco affermò che Galilei


Ebbe molto a soffrire – non possiamo nasconderlo – da parte di uomini e organismi della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e deplorato certi interventi indebiti [8]


Il papa continuava dicendo:


Per andare al di là di questa presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, uomini di scienza e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galilei e, riconoscendo lealmente i torti, da qualunque parte essi vengano, facciano scomparire le diffidenze che questo affare frappone ancora, in molti spiriti, ad una concordia fruttuosa fra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. Do tutto il mio appoggio a questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scienza e aprire la porta a future collaborazioni. [9]


La commissione auspicata dal pontefice si insediò due anni dopo e venne divisa in 4 sezioni autonome: esegetica, culturale, scientifico-epistemologica e storico giuridica. Solo in 7 occasioni fra il 1981 e il 1983 ci furono delle sedute plenarie. Dopo uno stallo durato 7 anni, nel maggio del 1990 il cardinale Poupard [10] venne incaricato di presiedere e coordinare i lavori che terminarono nel 1992 con un discorso papale tenuto il 31 ottobre che può essere considerata la conclusione del “caso Galilei”





Conclusione


Abbiamo così concluso questa nostra analisi storica e teologica sul rapporto scienza-fede. Se è vero che il problema è stato analizzato ampiamente in contesti diversi come quello storico, filosofico, teologico, è altrettanto vero che il dibattito rimane comunque aperto, grazie ai continui e ininterrotti contributi che di anno in anno si vanno ad assommare alla precedente produzione scientifica.











[1] FANTOLI A., Il caso Galileo. Dalla condanna alla “riabilitazione”. Una questione chiusa?, p. 288, BUR, Trebaseleghe 2003.

[2] FANTOLI A., op. cit., pp. 222-223

[3] CARDINI F. (a cura di), Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, p. 329-352, Piemme, Casale Monferrato 1994.

[4] Giuseppe Toaldo, Pianezze, 11 luglio 1719 – Padova, 1797

[5] Giuseppe Settele, 1770-1841

[6] FANTOLI A., op. cit., pp. 226-227

[7] Gaudium et Spes 36

[8] FANTOLI A., op. cit., p. 236

[9] idem

[10]Paul Joseph Jean Poupard, Bouzillé, 30 agosto 1930

Argomento pubblicato su Blog CATTOLICI, il Raccoglitore Italiano di BLOG di Fedeli CATTOLICI...
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Si ringrazia,
Nicola Rosetti
(Articolo tratto da Àncora Online, il settimanale della Diocesi di San Benedetto del Tronto)













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"[...] Non abbiate paura!
APRITE, anzi, SPALANCATE le PORTE A CRISTO!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa "cosa è dentro l’uomo". Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore.
Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo.
Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. [...]"


Papa Giovanni Paolo II
(estratto dell'omelia pronunciata domenica 22 ottobre 1978)



 
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